venerdì 30 dicembre 2011
Il Golpe di Capodanno
Il ministro Profumo ha recentemente dichiarato che, per il bene dell’università italiana, è necessario «mischiare il sangue». Il senso era quello di favorire lo scambio di esperienze e la mobilità dei docenti, ma adesso sappiamo di quale sangue parlava il ministro: quello dei ricercatori attualmente in servizio, quello degli assegnisti e dei precari che hanno – senza retorica – veramente dato il sangue per far andare avanti la sgarrupata baracca, e che adesso si vedono scippare il tanto celebrato “piano straordinario di reclutamento dei professori associati”. Di che si tratta?
Per scoprirlo, scarica il comunicato stampa di R29A (link al pdf, 349 Kb)
sabato 17 dicembre 2011
Estrema criticità dell’Università italiana
Le Organizzazioni e Associazioni universitarie denunciano lo stato di estrema criticità in cui versa l'Università italiana.
Questa situazione sarebbe destinata a diventare ancora più grave per l'Università pubblica statale se si dovesse proseguire nella politica dei progressivi e costanti tagli al finanziamento dell'Università, nella drastica riduzione del diritto allo studio, nell'aumento a dismisura del numero dei precari con l'espulsione di quelli attuali, nella differenziazione tra gli Atenei (atenei di ricerca e insegnamento e atenei di solo insegnamento), nella cancellazione della partecipazione democratica alla gestione degli Atenei, nell'annullamento della rappresentanza democratica del Sistema nazionale universitario, nel blocco della carriera e della retribuzione dei docenti.
L'opposizione del mondo universitario alla Legge 240/10 esprimeva tutte queste preoccupazioni, assieme alla convinzione che i suoi contenuti e i tempi di attuazione, sommati ai pesanti tagli al finanziamento (diversamente da quanto accade negli altri Paesi), avrebbero portato alla paralisi degli Atenei, così come, purtroppo, sta avvenendo. Peraltro, nelle more dell'attuazione della Legge, il processo di lentissima approvazione degli statuti e il ritardo nella emanazione dei più importanti decreti attuativi accentuano una condizione di blocco che pesa prevalentemente sulle retribuzioni, i diritti, le carriere del personale universitario e lascia gli studenti nell'incertezza dell'offerta formativa per i prossimi anni.
Da parte loro, le Organizzazioni e Associazioni universitarie - convinte che il Paese abbia bisogno di una Università pubblica, autonoma, democratica, di qualità e aperta a tutti – hanno denunciato da tempo quanto stava accadendo e, in particolare:
Ma oltre ai contenuti della Legge approvata, le critiche sono state rivolte anche alla totale chiusura al confronto che ha caratterizzato tutta l'azione del precedente Ministro; una indisponibilità che è proseguita nel corso dell'elaborazione dei decreti attuativi.
Con questi decreti si sta attentando alla libertà di ricerca e di insegnamento e si sta consentendo che i Ministri dell'Economia e dell'Università e l'ANVUR possano commissariare gli Atenei e decidere la nascita, la vita e la morte delle strutture universitarie.
L'azione del Ministero volta a ridurre i già limitati spazi di democrazia si è espressa pesantemente nel tentativo di cancellare dagli Statuti quelle norme che consentirebbero una più ampia partecipazione democratica.
Di fronte a tutto ciò chiediamo al Governo e al Parlamento una inversione di marcia rispetto alle scelte finora operate, riconoscendo il ruolo fondamentale dell'Università per lo sviluppo sociale e economico del Paese.
In questa direzione, chiediamo interventi per rendere democratici gli Atenei e realmente autonomo il Sistema nazionale universitario.
Chiediamo infine che il nuovo Governo avvii con urgenza un costante confronto con le Organizzazioni e Associazioni universitarie e sollecitiamo il Ministro a dare risposta alla nostra richiesta di incontro.
Roma, 13 dicembre 2011
ADI, ADU, ANDU, CISL-Università, CNRU, CNU,CoNPAss, FLC-CGIL,
RETE29Aprile, SNALS-Docenti Università, SUN, UDU, UGL-Università, UIL-RUA, USB-Pubblico impiego
Questa situazione sarebbe destinata a diventare ancora più grave per l'Università pubblica statale se si dovesse proseguire nella politica dei progressivi e costanti tagli al finanziamento dell'Università, nella drastica riduzione del diritto allo studio, nell'aumento a dismisura del numero dei precari con l'espulsione di quelli attuali, nella differenziazione tra gli Atenei (atenei di ricerca e insegnamento e atenei di solo insegnamento), nella cancellazione della partecipazione democratica alla gestione degli Atenei, nell'annullamento della rappresentanza democratica del Sistema nazionale universitario, nel blocco della carriera e della retribuzione dei docenti.
L'opposizione del mondo universitario alla Legge 240/10 esprimeva tutte queste preoccupazioni, assieme alla convinzione che i suoi contenuti e i tempi di attuazione, sommati ai pesanti tagli al finanziamento (diversamente da quanto accade negli altri Paesi), avrebbero portato alla paralisi degli Atenei, così come, purtroppo, sta avvenendo. Peraltro, nelle more dell'attuazione della Legge, il processo di lentissima approvazione degli statuti e il ritardo nella emanazione dei più importanti decreti attuativi accentuano una condizione di blocco che pesa prevalentemente sulle retribuzioni, i diritti, le carriere del personale universitario e lascia gli studenti nell'incertezza dell'offerta formativa per i prossimi anni.
Da parte loro, le Organizzazioni e Associazioni universitarie - convinte che il Paese abbia bisogno di una Università pubblica, autonoma, democratica, di qualità e aperta a tutti – hanno denunciato da tempo quanto stava accadendo e, in particolare:
- l'ulteriore divaricazione fra pochi Atenei 'eccellenti' e tutti gli altri;
- la scarsa considerazione delle esigenze della ricerca;
- il ridimensionamento della già ridotta autonomia degli Atenei;
- lo snaturamento del diritto allo studio, con la drastica riduzione dei fondi ad esso destinati, il tentativo di tagliare a migliaia di studenti idonei la borsa di studio e l'introduzione dei prestiti d'onore e di altri strumenti di indebitamento.
- il drastico ridimensionamento dei docenti di ruolo, con la costituzione di una 'base' amplissima di precari, senza reali prospettive di accesso alla docenza;
- le conseguenze della messa ad esaurimento dei ricercatori, senza neppure il riconoscimento del ruolo docente, senza adeguati sbocchi e con una diminuzione della retribuzione rispetto a quella degli ordinari;
- lo svilimento della figura dell'associato, trasformata in affollata fascia d'ingresso alla docenza, senza prospettive di carriera e con una diminuzione della retribuzione rispetto a quella degli ordinari;
- il ridimensionamento del ruolo del personale tecnico-amministrativo.
Ma oltre ai contenuti della Legge approvata, le critiche sono state rivolte anche alla totale chiusura al confronto che ha caratterizzato tutta l'azione del precedente Ministro; una indisponibilità che è proseguita nel corso dell'elaborazione dei decreti attuativi.
Con questi decreti si sta attentando alla libertà di ricerca e di insegnamento e si sta consentendo che i Ministri dell'Economia e dell'Università e l'ANVUR possano commissariare gli Atenei e decidere la nascita, la vita e la morte delle strutture universitarie.
L'azione del Ministero volta a ridurre i già limitati spazi di democrazia si è espressa pesantemente nel tentativo di cancellare dagli Statuti quelle norme che consentirebbero una più ampia partecipazione democratica.
Di fronte a tutto ciò chiediamo al Governo e al Parlamento una inversione di marcia rispetto alle scelte finora operate, riconoscendo il ruolo fondamentale dell'Università per lo sviluppo sociale e economico del Paese.
In questa direzione, chiediamo interventi per rendere democratici gli Atenei e realmente autonomo il Sistema nazionale universitario.
Chiediamo infine che il nuovo Governo avvii con urgenza un costante confronto con le Organizzazioni e Associazioni universitarie e sollecitiamo il Ministro a dare risposta alla nostra richiesta di incontro.
Roma, 13 dicembre 2011
ADI, ADU, ANDU, CISL-Università, CNRU, CNU,CoNPAss, FLC-CGIL,
RETE29Aprile, SNALS-Docenti Università, SUN, UDU, UGL-Università, UIL-RUA, USB-Pubblico impiego
domenica 20 novembre 2011
Un anno di CoNPAss, 15 novembre 2010 - 15 novembre 2011
Esattamente un anno fa a Roma, in un'aula dell'Università La Sapienza di Roma, prendeva corpo un'idea nata in rete solo qualche settimana prima: dare vita a un coordinamento nazionale di professori associati per opporsi alla legge Gelmini, per contrastarla dal punto di vista di una categoria che usciva particolarmente maltrattata da quella sciagurata riforma; e tuttavia senza cadere in visioni egoistiche, portando avanti il progetto di una Università nova.
Quel progetto è stato condiviso da un migliaio di colleghi, che hanno sottoscritto il documento programmatico che lo disegnava.
Forte di quel sostegno il Coordinamento ha continuato la sua battaglia per l'Università nova. Per nulla sconfortato dall'approvazione della contro-riforma nel frattempo intervenuta, ha capito che la battaglia andava continuata sul fronte dei decreti attuativi e delle modificazioni statutarie; che andava implementato il suo ruolo di interlocutore della politica per ottenere una modificazione della legge.
Mi piace ricordare le tappe fondamentali di questo cammino:
- novembre 2010: redazione del documento programmatico, sottoscritto da un migliaio di colleghi associati;
- dicembre 2010: redazione dell'appello al Presidente della Repubblica affinché rinviasse la legge Gelmini alla camera;
- dicembre 2010: pubblicazione di un annuncio a pagamento nelle pagine nazionali del Corriere della Sera, grazie al contributo libero di tantissimi, per complessivi €. 12.000,00
- promozione della petizione “opponiti o dimettiti”, che ha raccolto circa 3000 adesioni;
- febbraio 2011: assemblea nazionale a Napoli;
- febbraio-maggio 2011: partecipazione del Conpass nelle commissioni statuto di molti Atenei per presidiare gli spazi di democrazia;
- aprile 2011: assemblea nazionale a Bologna
- luglio 2011: costituzione formale come associazione (hanno partecipato allo sforzo fondativo 80 colleghi, e le adesioni ordinarie sono in costante crescita) nella riunione nazionale di Palermo;
- giugno-ottobre 2011: convocazione sia al Senato della Repubblica sia alla Camera dei Deputati in occasioni di sette diverse audizioni riguardanti l'adozione di provvedimenti concernenti l'Università (dall'abolizione del valore legale del titolo di studio all'ANVUR);
- redazione e produzione al Parlamento delle memorie del Conpass sui decreti attuativi della legge n. 240 del 2010;
- novembre 2011: nuovo appello al Presidente della Repubblica affinché si faccia garante dell'assenza di conflitti di interesse nella nomina del nuovo Ministro dell'Istruzione;
- lettera al Presidente del Consiglio incaricato Sen. Prof. Mario Monti sulle priorità dell'Università.
- Manteniamo costanti contatti con la stampa;
- I referenti CoNPAss nelle sedi locali fanno informazione costante a proposito di tutto ciò che avviene intorno e dentro l'università e che prima era a conoscenza di pochi;
- Partecipiamo all'intersindacale universitaria;
- Abbiamo aperto un dialogo con tutti i partiti (quelli che vogliono ascoltare) e con tutte le sigle per una azione sinergica pro università;
- Stiamo promuovendo un patto federativo con le organizzazioni dei ricercatori, degli ordinari e degli studenti.
In questo momento cruciale per la vista del Paese e in particolare dell'Università è essenziale che CoNPAss si rafforzi e cresca come associazione. Per questo motivo vi esorto a sostenerci iscrivendovi, facendo iscrivere i colleghi e partecipando al dibattito nelle liste e sul sito.
Il Presidente del CoNPAss
Calogero Massimo Cammalleri
sabato 19 novembre 2011
Appello del CoNPAss al Presidente del Consiglio
-------- Messaggio originale --------
Oggetto: Comunicato Stampa/Appello del Conpass al Presidente Incaricato
Data: Mon, 14 Nov 2011 11:21:54 +0100
Mittente: Coordinamento Nazionale dei Professori Associati
A: monti_m@posta.senato.it
Ch.mo Sen. Prof. Mario Monti,
Presidente incaricato,
Il CoNPAss, Coordinamento Nazionale dei Professori Associati, cosciente del delicato momento attraversato dal Paese e delle scelte difficili che dovranno essere prese dal nuovo esecutivo, ritiene importante che qualsiasi iniziativa di contrasto dell'emergenza e di rilancio economico del Paese tenga conto dell'esigenza di far crescere e non deprimere la crescita culturale, strettamente legata alla capacità di innovazione, tenendo conto delle seguenti esigenze urgenti per l'Università:
1. Ri-finanziamento dell'università e della ricerca
La ricerca scientifica italiana, ai primi posti nelle classifiche mondiali, è da anni sottofinanziata rispetto ai livelli europei e quando la crisi si è aggravata, mentre altrove si assisteva ad aumenti dell'investimento in ricerca, in Italia si è proceduto con i "tagli lineari" e con una riforma dell'Università che a distanza di un anno sta mostrando la sua vera natura di blocco del ricambio generazionale nel mondo accademico con conseguenze a lungo termine disastrose.
2. Ri-finanziamento del diritto alo studio
In tempi di crisi gli investimenti per il futuro dovrebbero essere gli ultimi ad essere tagliati. La riduzione senza precedenti delle cifre per il diritto allo studio (anche queste da sempre carenti rispetto al panorama internazionale) o misure come l'aumento senza limiti delle tasse universitarie, sono inaccettabili a meno di non desiderare un decremento delle gia' basse percentuali di laureati ed un impoverimento dei livelli culturali medi, risultati inaccettabili per una potenza
industriale occidentale. Soluzioni falsamente innovative come i prestiti d'onore, già trasformatisi in ulteriori processi di enorme indebitamento nazionale in altri paesi, non dovrebbero essere prese in seria considerazione come alternativa ad un vero riconoscimento del diritto allo studio previsto dalla Costituzione.
3. Pausa sulla riforma Gelmini aprendo tavoli di confronto col mondo accademico
Dopo l'approvazione della legge 240 erano stati promessi attenzione e dialogo. Quasi un anno dopo constatiamo che i decreti attuativi vengono approvati con notevole ritardo e senza che il Ministero abbia tentato anche un minimo confronto in fase di stesura degli stessi col mondo accademico.
Le numerose criticità del cammino della riforma spingono a chiedere una pausa di riflessione ed un vero confronto prima che alcuni processi e alcune mutazioni del sistema universitario statale divengano irreversibili.
4. Ridisegno dello stato giuridico
Andrebbe approntato, separatamente dalle questioni di governance universitaria, un vero progetto di ridisegno dello stato giuridico dei docenti universitari per affrontare alla radice e senza vuote propagande ideologiche il problema del ricambio generazionale, dell'efficienza del sistema e dei costi e della sostenibilità nel tempo dei meccanismi di accesso e progressione di carriera della docenza universitaria.
Calogero Massimo Cammalleri
presidente CoNPAss
domenica 13 novembre 2011
Messaggio del CoNPAss al Capo dello Stato sul nuovo Ministro IUR
Il CoNPAss - Coordinamento Nazionale dei Professori Associati delle Università Italiane manifesta al Capo dello Stato, garante della Costituzione, la propria preoccupazione in ordine alle notizie di stampa, circolate in queste ore, che vorrebbero il Rettore della Università Cattolica in procinto di essere nominato Ministro dell'Istruzione.
Senza entrare nel merito delle qualità della persona, manifesta forte allarme per la immanente situazione del conflitto di interessi che si verrebbe a creare nel sistema dell'Università statale e per il clima di forte opposizione che tale nomina innescherebbe nella base della comunità accademica. Questo proprio in un momento in cui la gravità della situazione imporrebbe soluzioni condivise verso uno sforzo comune.
Certi che in una situazione della gravità data il Capo dello Stato, nella formazione di un governo tecnico, vorrà dare autorevoli indicazioni affinché il dicastero dell'istruzione sia guidato da una personalità la cui linea riformatrice sia in sintonia con i movimenti dei professori e ricercatori e degli studenti e in discontinuità con i disastri del precedente ministro, ciò rassegna alla Sua alta sensibilità istituzionale.
Il Presidente
venerdì 14 ottobre 2011
Chi è in debito e chi è in credito - CoNPAss e il 15 ottobre
Il Coordinamento Nazionale dei Professori Associati partecipa all'indignazione del 15 ottobre.
I connotati di grande respiro internazionale e di vasta partecipazione giovanile sono elementi importanti, che possono aprirsi a sviluppi nuovi e promettenti, in contrasto con le prevalenti tesi dominanti, che ripropongono all'infinito ricette neoliberiste, assumendo le regole di mercato, così come esse stesse le hanno definite, come assiomi incontrovertibili. Cercano così la medicina all'interno della malattia, cioè il rimedio entro il male. Di tali ricette ci sentiamo volentieri di fare a meno; mai come in questo caso si dovrebbe dire: medice, cura te ipsum.
All'affermazione dei nostri giovani: “Il debito non l'abbiamo fatto noi” vogliamo replicare che sicuramente non l'abbiamo fatto neanche noi, poiché operiamo in un Paese che è, tra i Paesi OCSE, agli ultimi posti per le spese per L'Università e la ricerca e per la scuola. Ma vorremmo fare un passo in più. Non solo riteniamo che i giovani non siano in debito; da quanto sopra, vogliamo aggiungere che essi sono in credito; in credito, proprio per quanto s'è detto, almeno di tutto quanto avrebbe dovuto essere investito su di loro, ed è stato a loro sottratto.
Il mondo della cultura è il primo che paga il conto delle situazioni difficili, è quello i cui tagli danno effetti meno appariscenti, nell'immediato, ma i guasti più profondi per un avvenire indeterminatamente lungo. Cioè, per citare uno slogan diffuso, nel rubare il futuro.
mercoledì 5 ottobre 2011
Comprendere la crisi, pretendere democrazia - appello per le lezioni sulla crisi e i referendum sugli statuti in tutte le università
Un nuovo anno accademico sta per iniziare, l'università che si presenta agli occhi di quegli studenti che per la prima volta varcano le porte dei nostri Atenei è un luogo sempre più svuotato delle sue funzioni principali, dove la stessa ragione sociale della sua esistenza, la possibilità di sviluppare una didattica di qualità e aperta a tutti e una ricerca libera, viene messa in discussione.
L'applicazione della riforma Gelmini e i tagli di Tremonti delineano un processo di distruzione dell'università pubblica, di precarizzazione estrema della ricerca, di smantellamento del diritto allo studio. Il piano ormai chiaro – e in larga misura condiviso in maniera bipartisan – è creare un sistema di “eccellenza” blindato, caratterizzato da numero chiuso e didattica non retribuita, le cui anime siano lo sfruttamento del lavoro intellettuale, sia esso fornito da personale precario o di ruolo, e la competizione. Il blocco delle carriere e del reclutamento, l'espulsione di migliaia di precari dalle università, l'accentramento dei poteri decisionali nelle oligarchie baronali sta riducendo gli spazi di democrazia negli atenei, tutto questo mentre il numero degli iscritti all'università è in costante ribasso, il diritto allo studio vuole essere trasformato in un sistema di prestiti d'onore caratterizzato dall'indebitamento precoce, gli economisti studiano ricette sempre nuove per scaricare il finanziamento pubblico all'università sugli studenti chiedendo loro di pagare rette di 10.000 euro l'anno, e il mercato del lavoro è un deserto di precarietà.
A questo processo i Rettori collaborano alacremente: a luglio la Conferenza dei Rettori (Crui) ha chiesto al ministro Gelmini la libertà di alzare indiscriminatamente le tasse agli studenti, rimuovendo il vincolo che impone un tetto massimo pari al 20% del finanziamento statale, di poter superare la stessa Legge 240 per utilizzare gratuitamente i ricercatori di ruolo per la didattica, di eliminare il limite di 40.000 euro di reddito annuo ai lavoratori autonomi al fine di offrire contratti di insegnamento gratuito ai ricercatori precari.
Contro tutto questo l'anno scorso noi studenti, dottorandi, ricercatori, professori, precari e strutturati ci siamo opposti con forti mobilitazioni dentro e fuori gli atenei, salendo sui tetti, occupando monumenti, rendendoci indisponibili, gridandolo nelle strade delle nostre città. In piazza c'erano soprattutto due generazioni: dai ventenni ai quarantenni, le stesse generazioni che sono da tempo estromesse dalla società e dalla politica italiane.
Riconosciamo come l'attacco all'università pubblica non sia un fatto isolato, ma al contrario inserito all'interno del contesto di crisi economica, sociale e democratica che le nostre generazioni stanno vivendo.
Una crisi che mette in luce come l’attuale modello di sviluppo economico abbia come sola guida la ricerca del profitto e come orizzonte temporale l’apertura e la chiusura dei mercati finanziari. In questi mesi stiamo assistendo alle catastrofiche conseguenze di politiche economiche iperliberiste fondate su una competizione senza limiti né regole, che si traducono in sfruttamento indiscriminato: crisi ambientale ed energetica, esaurimento delle risorse naturali e alimentari, impoverimento della solidarietà sociale, mercificazione dei diritti fondamentali, strapotere di banchieri e finanzieri e speculatori, povertà, disoccupazione e precarietà sono solo alcuni di questi aspetti.
Parliamo di un modello di potere basato sulla speculazione e sulla ricchezza di pochi e non sul benessere di tutti. Come un Robin Hood al contrario, invocano l’eliminazione di diritti e libertà ai deboli per garantire ricchezze e potere ai forti. È lo stesso modello di sviluppo occidentale che entra in crisi, cercando disperatamente di salvarsi a spese dei paesi emergenti e nello stesso tempo spingendoli a fare gli stessi errori.
Noi non vogliamo rassegnarci a questa crisi né accettare passivamente quello che le banche centrali, le agenzie di rating, i grandi istituti di credito internazionale vogliono imporre a tutti i cittadini senza alcun controllo
In questa grave crisi il mondo della conoscenza ha il dovere di parlare con la società tutta e di aprire un dibattito collettivo, condividendo gli strumenti per capire cosa sta realmente avvenendo dietro la cortina fumogena dell’informazione pilotata e delle ricette degli economisti ultraliberisti, per fornire una lettura diversa e provare a suggerire soluzioni alternative.
Proponiamo quindi al mondo della conoscenza di andare a parlare della crisi non solo nelle università, ma anche nelle piazze nei giorni dal 10 al 14 Ottobre, precedenti la Manifestazione “United for Global Change” del 15 ottobre a Roma. Crediamo che questo modello di crescita senza limiti sia giunto al capolinea e stia divorando se stesso: è venuto il momento di usare la conoscenza come bene comune volto ad inventare nuovi modelli di vita che utilizzino i saperi e l'intelligenza collettiva per la valorizzazione della persona in tutte le sue forme.
In questa settimana di lezioni in piazza vogliamo non solo parlare della crisi nei suoi vari aspetti, ma anche continuare un processo partecipato di discussione in cui ribadire che la conoscenza è uno scambio che non conosce divisioni categoriali e che non può quindi rimanere confinato entro le mura di un'istituzione, ma deve vivere nella società, nelle strade e nelle piazze.
Ma la crisi economica non è solo questione di numeri. Lo diciamo dal 2008, dall'inizio del palesarsi della crisi: la crisi economica è prima di tutto crisi democratica. In questi anni abbiamo assistito ad una riduzione degli spazi di discussione, di critica, di dissenso. La crisi è stato il pretesto per cancellare la democrazia dai luoghi di lavoro, dalle università, dalle piazze. Dai NO dei lavoratori di Pomigliano e Mirafiori ai referendum per la ripubblicizzazione dell'acqua e contro il nucleare, il tentativo di riprendersi la parola, di riappropriarsi della possibilità di decidere, portato avanti da chi subisce un attacco ai propri diritti, è stato il filo conduttore che ha unito le tante lotte dello scorso anno.
Durante il corso dell'autunno porteremo questo modello di democrazia partecipata dentro gli atenei. Organizzeremo referendum autogestiti, come già è avvenuto a Bologna, Torino, Milano e Perugia per consentire a tutti coloro che vivono nelle università di esprimersi sulle riforme statutarie che negli ultimi mesi stanno coinvolgendo gli atenei italiani. Crediamo che tutti, dal personale di servizio al ricercatore precario, dallo studente al professore abbiano il diritto di esprimere le loro opinioni sugli statuti del Ministro Gelmini, perché la conoscenza non può essere normata dall'alto da un rettore-manager, ma deve darsi un'organizzazione condivisa, secondo modalità che consentano di decidere insieme di quale tipo di università e di conoscenza abbiamo bisogno.
Noi non partiamo da zero. Vogliamo ripartire da un'altra università, quella che ha affermato la propria determinazione etica nelle mobilitazioni dello scorso autunno, trasformando l'intelligenza collettiva in un processo partecipato di creazione sociale e politica da cui parta il mondo che vogliamo. Per questo invitiamo tutte e tutti coloro che in questi mesi hanno lottato per un cambiamento a partecipare a tutte le iniziative che abbiamo intenzione di organizzare perché crediamo che solo ripartendo dal mondo della conoscenza e ripubblicizzando i saperi si possa creare un'alternativa a questo modello di non-sviluppo economico e sociale.
CoNPAss – Coordinamento Nazionale Professori Associati
CPU – Coordinamento Precari Università
LINK – Coordinamento Universitario
Rete 29 Aprile – Ricercatori per un’Università libera, pubblica e aperta
L'applicazione della riforma Gelmini e i tagli di Tremonti delineano un processo di distruzione dell'università pubblica, di precarizzazione estrema della ricerca, di smantellamento del diritto allo studio. Il piano ormai chiaro – e in larga misura condiviso in maniera bipartisan – è creare un sistema di “eccellenza” blindato, caratterizzato da numero chiuso e didattica non retribuita, le cui anime siano lo sfruttamento del lavoro intellettuale, sia esso fornito da personale precario o di ruolo, e la competizione. Il blocco delle carriere e del reclutamento, l'espulsione di migliaia di precari dalle università, l'accentramento dei poteri decisionali nelle oligarchie baronali sta riducendo gli spazi di democrazia negli atenei, tutto questo mentre il numero degli iscritti all'università è in costante ribasso, il diritto allo studio vuole essere trasformato in un sistema di prestiti d'onore caratterizzato dall'indebitamento precoce, gli economisti studiano ricette sempre nuove per scaricare il finanziamento pubblico all'università sugli studenti chiedendo loro di pagare rette di 10.000 euro l'anno, e il mercato del lavoro è un deserto di precarietà.
A questo processo i Rettori collaborano alacremente: a luglio la Conferenza dei Rettori (Crui) ha chiesto al ministro Gelmini la libertà di alzare indiscriminatamente le tasse agli studenti, rimuovendo il vincolo che impone un tetto massimo pari al 20% del finanziamento statale, di poter superare la stessa Legge 240 per utilizzare gratuitamente i ricercatori di ruolo per la didattica, di eliminare il limite di 40.000 euro di reddito annuo ai lavoratori autonomi al fine di offrire contratti di insegnamento gratuito ai ricercatori precari.
Contro tutto questo l'anno scorso noi studenti, dottorandi, ricercatori, professori, precari e strutturati ci siamo opposti con forti mobilitazioni dentro e fuori gli atenei, salendo sui tetti, occupando monumenti, rendendoci indisponibili, gridandolo nelle strade delle nostre città. In piazza c'erano soprattutto due generazioni: dai ventenni ai quarantenni, le stesse generazioni che sono da tempo estromesse dalla società e dalla politica italiane.
Riconosciamo come l'attacco all'università pubblica non sia un fatto isolato, ma al contrario inserito all'interno del contesto di crisi economica, sociale e democratica che le nostre generazioni stanno vivendo.
Una crisi che mette in luce come l’attuale modello di sviluppo economico abbia come sola guida la ricerca del profitto e come orizzonte temporale l’apertura e la chiusura dei mercati finanziari. In questi mesi stiamo assistendo alle catastrofiche conseguenze di politiche economiche iperliberiste fondate su una competizione senza limiti né regole, che si traducono in sfruttamento indiscriminato: crisi ambientale ed energetica, esaurimento delle risorse naturali e alimentari, impoverimento della solidarietà sociale, mercificazione dei diritti fondamentali, strapotere di banchieri e finanzieri e speculatori, povertà, disoccupazione e precarietà sono solo alcuni di questi aspetti.
Parliamo di un modello di potere basato sulla speculazione e sulla ricchezza di pochi e non sul benessere di tutti. Come un Robin Hood al contrario, invocano l’eliminazione di diritti e libertà ai deboli per garantire ricchezze e potere ai forti. È lo stesso modello di sviluppo occidentale che entra in crisi, cercando disperatamente di salvarsi a spese dei paesi emergenti e nello stesso tempo spingendoli a fare gli stessi errori.
Noi non vogliamo rassegnarci a questa crisi né accettare passivamente quello che le banche centrali, le agenzie di rating, i grandi istituti di credito internazionale vogliono imporre a tutti i cittadini senza alcun controllo
In questa grave crisi il mondo della conoscenza ha il dovere di parlare con la società tutta e di aprire un dibattito collettivo, condividendo gli strumenti per capire cosa sta realmente avvenendo dietro la cortina fumogena dell’informazione pilotata e delle ricette degli economisti ultraliberisti, per fornire una lettura diversa e provare a suggerire soluzioni alternative.
Proponiamo quindi al mondo della conoscenza di andare a parlare della crisi non solo nelle università, ma anche nelle piazze nei giorni dal 10 al 14 Ottobre, precedenti la Manifestazione “United for Global Change” del 15 ottobre a Roma. Crediamo che questo modello di crescita senza limiti sia giunto al capolinea e stia divorando se stesso: è venuto il momento di usare la conoscenza come bene comune volto ad inventare nuovi modelli di vita che utilizzino i saperi e l'intelligenza collettiva per la valorizzazione della persona in tutte le sue forme.
In questa settimana di lezioni in piazza vogliamo non solo parlare della crisi nei suoi vari aspetti, ma anche continuare un processo partecipato di discussione in cui ribadire che la conoscenza è uno scambio che non conosce divisioni categoriali e che non può quindi rimanere confinato entro le mura di un'istituzione, ma deve vivere nella società, nelle strade e nelle piazze.
Ma la crisi economica non è solo questione di numeri. Lo diciamo dal 2008, dall'inizio del palesarsi della crisi: la crisi economica è prima di tutto crisi democratica. In questi anni abbiamo assistito ad una riduzione degli spazi di discussione, di critica, di dissenso. La crisi è stato il pretesto per cancellare la democrazia dai luoghi di lavoro, dalle università, dalle piazze. Dai NO dei lavoratori di Pomigliano e Mirafiori ai referendum per la ripubblicizzazione dell'acqua e contro il nucleare, il tentativo di riprendersi la parola, di riappropriarsi della possibilità di decidere, portato avanti da chi subisce un attacco ai propri diritti, è stato il filo conduttore che ha unito le tante lotte dello scorso anno.
Durante il corso dell'autunno porteremo questo modello di democrazia partecipata dentro gli atenei. Organizzeremo referendum autogestiti, come già è avvenuto a Bologna, Torino, Milano e Perugia per consentire a tutti coloro che vivono nelle università di esprimersi sulle riforme statutarie che negli ultimi mesi stanno coinvolgendo gli atenei italiani. Crediamo che tutti, dal personale di servizio al ricercatore precario, dallo studente al professore abbiano il diritto di esprimere le loro opinioni sugli statuti del Ministro Gelmini, perché la conoscenza non può essere normata dall'alto da un rettore-manager, ma deve darsi un'organizzazione condivisa, secondo modalità che consentano di decidere insieme di quale tipo di università e di conoscenza abbiamo bisogno.
Noi non partiamo da zero. Vogliamo ripartire da un'altra università, quella che ha affermato la propria determinazione etica nelle mobilitazioni dello scorso autunno, trasformando l'intelligenza collettiva in un processo partecipato di creazione sociale e politica da cui parta il mondo che vogliamo. Per questo invitiamo tutte e tutti coloro che in questi mesi hanno lottato per un cambiamento a partecipare a tutte le iniziative che abbiamo intenzione di organizzare perché crediamo che solo ripartendo dal mondo della conoscenza e ripubblicizzando i saperi si possa creare un'alternativa a questo modello di non-sviluppo economico e sociale.
CoNPAss – Coordinamento Nazionale Professori Associati
CPU – Coordinamento Precari Università
LINK – Coordinamento Universitario
Rete 29 Aprile – Ricercatori per un’Università libera, pubblica e aperta
martedì 4 ottobre 2011
Appello studenti Link - Palayana verso il 15 ottobre
Cari docenti, ricercatori e ricercatrici, dottorandi e dottorande,
non vi sfuggirà il fatto che quest’anno cominciamo l’università dentro le macerie di un disastro annunciato. Non vi saranno sfuggite le parole che il rettore dell’Alma Mater ha pronunciato qualche giorno fa al termine di un Senato Accademico, parole drammatiche, che a nostro avviso rischiano di arrivare troppo tardi, quando i giochi sono fatti e nel modo peggiore.
E’ dal 2008 che noi studenti proviamo a mettere in guardia il mondo accademico e l’opinione pubblica di questo paese rispetto al fatto che si sarebbe andati inesorabilmente incontro ad uno smantellamento dell’Università senza precedenti nella storia, ad una significativa e definitiva perdita di significato di quei luoghi del sapere che abitiamo quotidianamente. Le nostre istanze, le nostre rivendicazioni, sono spesso state fraintese, o giudicate allarmiste, o semplicemente trattate con superficialità, e solo raramente comprese nella loro veemenza.
Dal 2008 sono passati tre anni, e il mondo è cambiato. Potremmo dire che forse l’Università è stata tra le prime a provare cosa significasse smantellare il ruolo del pubblico, de-finanziandolo in modo invalidante, prima ancora che inceppandone il funzionamento con una pasticciata contro-riforma strutturale. L’Università prima di ogni altro comparto del sistema pubblico ha subito a proprie spese l’uso strumentale del dispositivo emergenziale della crisi per togliere fondi e ridurre tutto alle macerie che oggi inesorabilmente attraversiamo. Macerie non solo metaforiche, perché hanno immediate ricadute nella quotidianità della gran parte degli studenti e dei docenti che pure accettano di anno in anno, e senza quasi nessun contraddittorio, peggioramenti effettivi della propria esistenza e la chiusura progressiva degli spazi del libero accesso a quel che resta dell’università pubblica.
Non è tutto. Questo è l’anno in cui la crisi economica fa sentire tutta la propria forza devastatrice, l’anno in cui si accorcia definitivamente la distanza tra finanza e vita e in cui un paese come il nostro, già al collasso da tempo, diventa teatro di devastazione sociale drammatica. Dai nostri atenei escono quei numeri che l’Istat riporta di anno in anno, i laureati disoccupati senza futuro e senza reddito, usciti da un’Università carissima, sempre più inerte e che ha rinunciato quasi ovunque a produrre sapere critico dentro l’emergenza viva del nostro presente. Dentro questa miseria, evidentemente non solo materiale, sembra che ovunque in Europa, si cominci a prendere parola dal basso, si comincia a riaprire spazi di democrazia e discussione. Sembra che si cominci a denunciare la dittatura della finanza, e a chiedere nuovo potere della politica, resa afasica dalla tecnocrazia.
In Italia tutto ancora tace, non sappiamo per quanto ancora. Ci chiediamo da tempo: se la crisi ha messo in luce, ad esempio, l’evidente fallimento di un sistema economico e sociale, che non riesce ad uscire in modo convincente dalla proprio collasso, da dove devono uscire proposte reali di alternativa se non proprio dall’università? Dove si sperimentano, saperi in grado di sostenere nuovi modelli di sviluppo e nuovi modi di organizzazione politica e sociale, se non da produttive sinergie tra i movimenti sociali e i luoghi dell’Accademia, mortificata e ridotta a terreno di mera corporazione?
E invece tutto scorre come se questo tempo, come se questa crisi così devastante del comparto formazione, del paese e del mondo tutto, non toccasse neppure marginalmente l’Università, anche se non ci sono più nemmeno i soldi per la carta, anche se le rate di quest’anno sono aumentate vertiginosamente costringendo studenti- e ne conosciamo tanti-a rinunciare all’anno accademico a causa dei costi, anche se non esiste più tutela alcuna del diritto allo studio, anche se i corsi di laurea chiudono e il turn-over è paralizzato.
Nonostante tutto questo, se l’anno scorso iniziò almeno con la dichiarata indisponibilità di tanti ricercatori e ricercatrici -indisponibilità che mise in evidenza la protervia di tanti rettori in cerca di contratti di docenza per coprire i vuoti, innanzitutto politici, che quelle assenze lasciavano - quest’anno l’Università è chiusa in un silenzio omertoso, e noi con queste poche righe non abbiamo alcuna voglia né intenzione di palleggiare le responsabilità o le colpe, ma solo di stimolare un ragionamento.
Da un mese è nato dentro la Federico II un luogo di discussione pubblica, un agorà che ospita soggettività studentesche democratiche e di movimento, come LINK e il laboratorio Palayana (nodo della rete nazionale UNICOMMON) così come singoli, che agiscono e discutono l’urgenza del presente, assumendosi la responsabilità della complessità dello stesso.
Partiamo dall’organizzazione del 15 ottobre, una data inedita per il mondo, una data in cui si manifesterà in ogni piazza delle capitali d’Europa contro l’Austerity, contro il governo delle banche, e per una nuova democrazia dei popoli. Oltre il 15 proverà a lanciare spunti di studio e di ragionamento, per smuovere il calmissimo mare dell’università, a imporre fuor di retorica la drammatica questione della povertà e della disoccupazione, della precarietà e del welfare. Non ci accontenteremo di nessuna semplificazione e proveremo a scrivere un percorso che stia tutto dentro il rapidissimo svolgersi degli eventi. Vorremmo non restare a parlarne solo tra studenti. Per questo vi abbiamo scritto questo breve appello.
Saluti a tutti,
Workshop permanente contro la crisi Federico II
lunedì 5 settembre 2011
CoNPAss: NO a una manovra finanziaria iniqua e incostituzionale
CoNPAss - Coordinamento Nazionale Professori Associati manifesta viva preoccupazione per i molteplici profili di iniquità e di incostituzionalità della manovra finanziaria in discussione, considerandone i contenuti non solo inutili per il rilancio del Paese bensì deleteri per la tutela delle fasce deboli e della coesione sociale nel suo complesso.
Solo in apparenza questa manovra non intacca ulteriormente il già stremato mondo dell'istruzione, dell'università e della ricerca (pur collocando tra i cosiddetti "enti inutili" alcune delle maggiori istituzioni culturali nazionali): le logiche cui il provvedimento si ispira (liberismo selvaggio, privatizzazione, tutela dei grandi capitali e dei grandi evasori, scarico dei costi della crisi su famiglie e lavoro dipendente, smantellamento dei servizi e dello stato sociale, ecc.) sono le medesime che negli anni passati hanno improntato le cosiddette "riforme" di scuola e università, utili unicamente a mascherare (in modo maldestro) il definanziamento e la volontà di distruzione.
Per questo CoNPAss ritiene che sia necessario impegnarsi in prima persona in tutte le sedi e le forme previste dall'ordinamento democratico del nostro stato per opporsi alla manovra e promuovere invece iniziative di civiltà, progresso e equità sociale.
CoNPAss è un'associazione culturale e professionale non avente finalità di lucro che si propone di rafforzare il ruolo che l’Università pubblica svolge per la crescita sociale, culturale e produttiva del Paese, salvaguardandone l’autonomia in piena coerenza con i principi della Carta Costituzionale.
mercoledì 24 agosto 2011
R29A - Basta ipocrisie per (pagare) gli interessi di pochi! Appello per la verità e per l’etica pubblica
Basta ipocrisie per (pagare) gli interessi di pochi! Appello per la verità e per l’etica pubblica
In questi giorni si è fatto pressante il richiamo ad una "patriottica" solidarietà per salvare l'Italia dalla bancarotta. Nessuno può essere insensibile a temi così gravi, e anche le ricercatrici e i ricercatori universitari si mobiliteranno. E’ fondamentale tuttavia che tutti si chieda con la massima forza e il massimo rigore, che la politica tutta - e chiunque abbia responsabilità di gestione della cosa pubblica - la smetta di propalare falsità e operi conseguentemente, affinché possa cominciare immediatamente una stagione davvero nuova che metta al centro l'etica ed il bene pubblico...
(continua a leggere sul sito di R29A)
mercoledì 3 agosto 2011
Perchè abbiamo votato contro il nuovo Statuto - Coordinamento USB “Università Tor Vergata”
Perché abbiamo votato contro l’approvazione dello Statuto?
Lo scorso martedì 18 luglio si è tenuta l’ultima delle tre sedute di Senato Accademico, programmate per la discussione e approvazione del testo licenziato dalla “Commissione per l’adeguamento dello Statuto alla normativa vigente (legge n. 240/2010)”.
Abbiamo votato contro l’approvazione del nuovo Statuto, nonostante alcuni risultati ottenuti, poiché riteniamo non siano state colte le opportunità date dall’Autonomia, che la Costituzione ancora preserva, di attenuare il modello accentratore e l’assetto para-aziendalistico preteso dalla Riforma Gelmini, ampiamente contrastata all'interno e fuori dalla comunità universitaria.
E' stato l'unico voto contrario: la nostra è stata la conseguenza di un’opposizione motivata, ma mai restia al dialogo, come sa chi ha seguito le nostre informative.
ENTRIAMO NEL CONCRETO DELLE MOTIVAZIONI:
- lo Statuto nel suo complesso esaspera i contenuti della legge di riforma n. 240/2010, cosiddetta Gelmini, promuovendo un assetto di governance verticistico e accentratore, rendendo allo stesso tempo meno trasparenti e limpidi i meccanismi stessi del governo: uno Statuto da Antico Regime che pretende di essere spacciato per “moderno”, perché vicino alle logiche aziendalistiche!
Si è persa, dunque, un’altra occasione, questa volta relativa alla possibilità di disegnare un modello democratico e partecipativo teso a coinvolgere tutte le componenti accademiche dell’Ateneo. Un modello quest’ultimo, la cui efficacia proprio in termini di governance e leadership, tra l’altro, è sempre più riconosciuta.
- riteniamo ingiustificata la scelta di imporre a tutta la Comunità Accademica un Consiglio di Amministrazione che per la quasi totalità dei suoi componenti non è elettivo. Inoltre, la selezione dei membri del Consiglio, eletti dal Senato all’interno di una ristretta rosa di nomi proposti dal Rettore, non dà alcuna garanzia in merito all’autonomia del Consiglio stesso rispetto al Rettore.
- l’impianto dato al Consiglio di Amministrazione non tutela adeguatamente l’assetto pubblico dell’Università; al contrario si impone all’Università un modello di gestione aziendalista che, tra l’altro, manca di una puntuale assegnazione di reali responsabilità gestionali in capo ai massimi vertici dell’Ateneo.
- questo statuto non riconosce il ruolo e la professionalità del personale tecnico amministrativo (nella prima stesura ancora definito come “non docente”) di cui si ricordano le “responsabilità’ “ ma non si valorizzano le risorse, in particolare negli organi collegiali. La diminuzione del 50% dei rappresentanti del personale tecnico-amministrativo in seno al Senato Accademico penalizza oltremodo i lavoratori, laddove erano già fortemente sotto-rappresentati.
Questa considerazione, naturalmente, va aggiunta al fatto che il personale non ha nessuna garanzia di avere un proprio rappresentante in seno al C.d.A. Anche se esiste uno spiraglio seppur minimo e tutto da conquistare, costruendo le condizioni politiche perchè questo si realizzi, nulla vieta che uno di essi possa appartenere al personale tecnico-amministrativo (tra i cinque membri appartenenti ai ruoli dell’Ateneo…” , art. 3 punto b).
Rimane il dubbio fondato se “il nominato” rappresenta chi lo propone, piuttosto che la categoria che avrebbe dovuto democraticamente eleggerlo.
- quello appena approvato rischia di essere, inoltre, uno Statuto fortemente “conservativo”, che mantiene intatta la struttura attuale dell’Ateneo, basata sulle facoltà, nonostante la Riforma ne prevede la scomparsa con la creazione di macro-aree funzionali e scientifiche. Riteniamo dunque questa un’occasione persa perché non da un segnale di discontinuità rispetto al sistema attuale: una dicotomia tra il vecchio e il nuovo per mantenere inalterati gli equilibri tra i poteri interni.
- si è voluto redigere uno Statuto “snello agile e limitato alla sola definizione di principi ispiratori”. Come presupposto avremmo potuto anche accogliere favorevolmente questa impostazione di massima ma, purtroppo, è venuta a mancare la possibilità di inserire nel testo un articolato normativo che avrebbe edificato le basi di un futuro operare virtuoso e partecipativo.
- è stata negata, infine, l’approvazione referendaria del testo dello Statuto.
COSA ABBIAMO OTTENUTO
Grazie all’assidua e caparbia presenza in tutti i momenti cruciali della vita politica della nostra Università siamo riusciti, come USB, a strappare alcuni risultati per il personale tutto, che vanno qui ricordati e accolti come l’aspetto positivo del rapporto, pur conflittuale, con il Rettore e con i vertici del nostro Ateneo.
- La conferma del prezioso risultato conquistato nel corso della nostra audizione con la Commissione Statuto che, accogliendo quanto già indicato nel vecchio Statuto, conferma il peso elettorale del personale nella elezione del Rettore (20% dei votanti). Un dato, come sapete, non scontato. Si era seriamente corso il rischio di tornare indietro.
- Nel testo dello Statuto, che accoglie la richiesta di una nostra
mozione, si fa sempre menzione al personale definendolo finalmente per quello che è, e non per difetto, ossia per quello che non è (personale NON DOCENTE).
- All’art. 20 com. 3 punto e, siamo riusciti, con la collaborazione dei professori giuristi presenti in Senato, ad introdurre un emendamento che prevede - nelle more dell’organizzazione amministrativa degli uffici dell’Ateneo - oltre alle esigenze dell’utenza, anche la tutela dei diritti garantiti dal contratto dei lavoratori dell’Università.
Luglio 2011
Il Coordinamento USB “Università Tor Vergata”
lunedì 1 agosto 2011
Sul “nuovo” Statuto di Tor Vergata - Lavoratori e studenti contro la riforma Gelmini
Documento scritto da ricercatori, studenti, tecnici e professori di Tor Vergata sul nuovo statuto dell'Università
Non era un mistero, e lo abbiamo più volte denunciato, che il progetto di devastazione dell’università pubblica portato avanti dalla ministra Gelmini trovasse solerti sostenitori tra i detentori del potere accademico, ai quali la riforma prometteva e conferiva la gestione assoluta e incontrastata delle macerie. E che infatti non hanno aspettato un minuto di più per accaparrarsi potere e arbitrio, dandoci un avvertimento su quale sarà l’università del futuro...
[continua a leggere il comunicato - link al pdf (63.2 Kb)]
giovedì 28 luglio 2011
Ora che il gallo ha cantato
Da Il Manifesto 28 luglio 2010
di Maurizio Matteuzzi
L'Alma Mater Studiorum ha un nuovo statuto. Dalla constitutio habita ne ha avuti molti. Questo è il peggiore. Scritto e voluto dai pochi, contro il sentire dei molti. Nemmeno al livello dei massimi vertici c'è stato accordo. Da oggi la comunità è meno universitas e meno societas; forse più azienda, ci auguriamo più efficiente, sicuramente meno democratica.
La prima cosa su cui giova riflettere è che, di tutti i bisogni che poteva sentire il nostro Ateneo, senza dubbio quello di dotarsi di un nuovo Statuto non aveva grande priorità; anzi, possiamo confessarcelo, non compariva proprio in elenco. D'altra parte ci hanno spiegato che Tremonti è un uomo d'onore; e anche Gelmini; e Brunetta; e Bruto, e Cassio, e Casca, e gli altri, tutti, tutti, uomini d'onore.
I trattati sulla governance, nella dinamica di gruppo, distinguono una leadership autoritaria, una leadership democratica, una leadership non direttiva. Una leadership autoritaria presenta di norma una maggiore produttività, entro una visione tayloristica; ma a patto che di produzione parcellizzata e ripetitiva si tratti; a sfavore, aumenta fortemente l'aggressività e il rispetto all'interno del gruppo. La leadership democratica, viceversa, ripaga nel lavoro creativo, a grande variabilità, e crea forte coesione entro il gruppo. Da queste poche battute si capisce che università si è voluta. E dal governo del bunga-bunga poco di diverso ci si poteva attendere. Qualcosa di più ci si aspettava dagli zelanti attuatori che ne hanno declinato la curvatura locale.
Quanto questo statuto sia poco condiviso, e sia persino inviso ai più, è già stato ampiamente provato, e sta agli atti. Ma la cosa più grave è quanto, in termini sia di risorse che di tempo, quanto ci costerà rimettere le cose a posto, e resuscitare la ricerca pubblica e la sua dignità. Perché qui purtroppo non stiamo parlando del funerale di Cesare, che la storia ha archiviato, ma di quello della democrazia nell'Università di Bologna.
La comunità scientifica è stata tradita; più volte e da più attori. E' stata tradita prima di tutto dalla CRUI. Ai tempi del tentativo, ben meno invasivo, del ministro Moratti, i Rettori si dimisero; la pretesa riforma non passò mai completamente, per la fortuna di tutti, dall'ideale al reale; i danni indubbiamente ci furono, ma circoscritti: qualche diritto acquisto negato, ma, si sa, è prassi tutta italiana; l'introduzione di qualche elemento di confusione ulteriore; qualche promessa campata in aria, tipo i concorsi sistematici e in tempi certi; ma, si sa, è uno stilema del nostro governo.
Riguardo alla legge Gelmini, mentre la comunità si aspettava, legittimamente e diciamo pure logicamente, una resistenza ancora più decisa, l'atteggiamento è viceversa drasticamente mutato: la CRUI, anche nelle sue componenti dichiaratamente “di sinistra”, si è mostrata prona e servile, fino al collaborazionismo dichiarato. Per quale infausta ragione i nostri Magnifici abbiano compiuto questa capriola logico/etica, resta misterioso e privo di una spiegazione razionale, in specie a voler comparare le due interlocutrici: la comparazione è così impietosa che ce ne asteniamo, per non dovere intraprendere la via dell'encomio della Moratti. La CRUI ha appoggiato il ministro Gelmini con partecipazione e impegno: il rettore dell’Università del Sannio, prof. Bencardino il 23 febbraio 2011 lo ha espresso meglio di tante parole affermando in presenza del ministro che “abbiamo collaborato per portare avanti la riforma, anche cercando di contenere le pressioni che venivano dal basso, dagli studenti, dai colleghi ricercatori. Ci siamo riusciti, la riforma è andata in porto”.
Il secondo tradimento è stato perpetrato dai politici. Si sa, la politica è l'arte del compromesso; ma altro è il compromesso, altra la menzogna eretta a sistema. Qui non c'è tanto da scandalizzarsi di quegli analfabeti prezzolati, dipendenti del partito azienda, che hanno compitato gli slogan predisposti, senza sapere bene di cosa parlassero: bisogna capirli: tengono famiglia; e, più ancora, tengono padrone. Altro è il caso di chi, come Francesco Rutelli, annuncia a chiare lettere che voterà la legge se e soltanto se saranno previste le adeguate risorse; a fine dibattito è a tutti chiaro che tali risorse, prima dimezzate, vengono alla fine espunte. E tuttavia il Nostro, fulminato dalle due paginette che la Ministro legge stentatamente in Senato, con qualche incertezza e qualche accento bizzarro, avendo colto l'aggettivo “bipartisan”, muta l'accento ed il pensier. Gelmini insomma mostrò ciò che potea la lingua nostra. Assai simile il caso dei così detti “finiani”, che prendono il problema sul serio, al punto da salire sui tetti della protesta, nelle persone di Granata e Della Vedova, e assicurare che il loro voto è condizionato alla prova del finanziamento. Ma quando appare chiaro che il finanziamento non c'è proprio, neanche nelle briciole annunciate, sono presi da un improvviso vuoto di memoria, e votano la legge: per coerenza.
Dell'atteggiamento del PD è difficile dar conto; da un lato si dovrebbe, come si fa per i grandi autori - c'è un primo Wittgenstein e un secondo Wittgenstein, si sa -, parlare di un primo PD e di un secondo PD; dall'altro, il caso è qui ancora più complesso, si dovrebbe parlare di ogni singolo membro, perché a riunire sotto una stessa denominazione idee le più diverse si ottiene forse un insieme, in senso cantoriano, ma difficilmente un partito.
Il terzo tradimento è il più grave di tutti, è quello che fa sanguinare il cuore, quello, direbbe Kierkegaard, che è una “scheggia nelle carni”. Il terzo tradimento è autoctono, ermafrodito, onanista, autoreferenziale, autarchico, autonomo, autosufficiente: è l'autotradimento. Una congerie di persone che si arrogano l'orgoglio di lavoratori della conoscenza, che si porgono come i depositari del sapere e della cultura, che si sentono e si dicono paladini e custodi della ricerca scientifica, del vero sapere, e dunque dei valori i più nobili dell'umanità, questa congerie e non altra tu la vedi correre dietro una bandiera, come gli ignavi del terzo canto: non sono contenti, ma non si oppongono; non condividono, ma si industriano a scrivere statuti e regolamenti; parlano di merito, e hanno le carriere e persino l'anzianità bloccata; e corrono, corrono, nudi, punti dalle vespe, dietro un'insegna vuota. Vivono sanza infamia e sanza lodo; ma vivono?
Che dire? Meglio affidarsi al Poeta: la loro cieca vita è tanto bassa che dovrebbero invidiar ogn'altra sorte. Ma purtroppo non ne possiamo mutuare le conclusioni: non possiamo dire ai nostri allievi, ai nostri collaboratori più giovani, ai nostri studenti: “non ti curar di lor, ma guarda e passa”; per andare dove, colleghi? All'inferno ci siamo già.
di Maurizio Matteuzzi
L'Alma Mater Studiorum ha un nuovo statuto. Dalla constitutio habita ne ha avuti molti. Questo è il peggiore. Scritto e voluto dai pochi, contro il sentire dei molti. Nemmeno al livello dei massimi vertici c'è stato accordo. Da oggi la comunità è meno universitas e meno societas; forse più azienda, ci auguriamo più efficiente, sicuramente meno democratica.
La prima cosa su cui giova riflettere è che, di tutti i bisogni che poteva sentire il nostro Ateneo, senza dubbio quello di dotarsi di un nuovo Statuto non aveva grande priorità; anzi, possiamo confessarcelo, non compariva proprio in elenco. D'altra parte ci hanno spiegato che Tremonti è un uomo d'onore; e anche Gelmini; e Brunetta; e Bruto, e Cassio, e Casca, e gli altri, tutti, tutti, uomini d'onore.
I trattati sulla governance, nella dinamica di gruppo, distinguono una leadership autoritaria, una leadership democratica, una leadership non direttiva. Una leadership autoritaria presenta di norma una maggiore produttività, entro una visione tayloristica; ma a patto che di produzione parcellizzata e ripetitiva si tratti; a sfavore, aumenta fortemente l'aggressività e il rispetto all'interno del gruppo. La leadership democratica, viceversa, ripaga nel lavoro creativo, a grande variabilità, e crea forte coesione entro il gruppo. Da queste poche battute si capisce che università si è voluta. E dal governo del bunga-bunga poco di diverso ci si poteva attendere. Qualcosa di più ci si aspettava dagli zelanti attuatori che ne hanno declinato la curvatura locale.
Quanto questo statuto sia poco condiviso, e sia persino inviso ai più, è già stato ampiamente provato, e sta agli atti. Ma la cosa più grave è quanto, in termini sia di risorse che di tempo, quanto ci costerà rimettere le cose a posto, e resuscitare la ricerca pubblica e la sua dignità. Perché qui purtroppo non stiamo parlando del funerale di Cesare, che la storia ha archiviato, ma di quello della democrazia nell'Università di Bologna.
La comunità scientifica è stata tradita; più volte e da più attori. E' stata tradita prima di tutto dalla CRUI. Ai tempi del tentativo, ben meno invasivo, del ministro Moratti, i Rettori si dimisero; la pretesa riforma non passò mai completamente, per la fortuna di tutti, dall'ideale al reale; i danni indubbiamente ci furono, ma circoscritti: qualche diritto acquisto negato, ma, si sa, è prassi tutta italiana; l'introduzione di qualche elemento di confusione ulteriore; qualche promessa campata in aria, tipo i concorsi sistematici e in tempi certi; ma, si sa, è uno stilema del nostro governo.
Riguardo alla legge Gelmini, mentre la comunità si aspettava, legittimamente e diciamo pure logicamente, una resistenza ancora più decisa, l'atteggiamento è viceversa drasticamente mutato: la CRUI, anche nelle sue componenti dichiaratamente “di sinistra”, si è mostrata prona e servile, fino al collaborazionismo dichiarato. Per quale infausta ragione i nostri Magnifici abbiano compiuto questa capriola logico/etica, resta misterioso e privo di una spiegazione razionale, in specie a voler comparare le due interlocutrici: la comparazione è così impietosa che ce ne asteniamo, per non dovere intraprendere la via dell'encomio della Moratti. La CRUI ha appoggiato il ministro Gelmini con partecipazione e impegno: il rettore dell’Università del Sannio, prof. Bencardino il 23 febbraio 2011 lo ha espresso meglio di tante parole affermando in presenza del ministro che “abbiamo collaborato per portare avanti la riforma, anche cercando di contenere le pressioni che venivano dal basso, dagli studenti, dai colleghi ricercatori. Ci siamo riusciti, la riforma è andata in porto”.
Il secondo tradimento è stato perpetrato dai politici. Si sa, la politica è l'arte del compromesso; ma altro è il compromesso, altra la menzogna eretta a sistema. Qui non c'è tanto da scandalizzarsi di quegli analfabeti prezzolati, dipendenti del partito azienda, che hanno compitato gli slogan predisposti, senza sapere bene di cosa parlassero: bisogna capirli: tengono famiglia; e, più ancora, tengono padrone. Altro è il caso di chi, come Francesco Rutelli, annuncia a chiare lettere che voterà la legge se e soltanto se saranno previste le adeguate risorse; a fine dibattito è a tutti chiaro che tali risorse, prima dimezzate, vengono alla fine espunte. E tuttavia il Nostro, fulminato dalle due paginette che la Ministro legge stentatamente in Senato, con qualche incertezza e qualche accento bizzarro, avendo colto l'aggettivo “bipartisan”, muta l'accento ed il pensier. Gelmini insomma mostrò ciò che potea la lingua nostra. Assai simile il caso dei così detti “finiani”, che prendono il problema sul serio, al punto da salire sui tetti della protesta, nelle persone di Granata e Della Vedova, e assicurare che il loro voto è condizionato alla prova del finanziamento. Ma quando appare chiaro che il finanziamento non c'è proprio, neanche nelle briciole annunciate, sono presi da un improvviso vuoto di memoria, e votano la legge: per coerenza.
Dell'atteggiamento del PD è difficile dar conto; da un lato si dovrebbe, come si fa per i grandi autori - c'è un primo Wittgenstein e un secondo Wittgenstein, si sa -, parlare di un primo PD e di un secondo PD; dall'altro, il caso è qui ancora più complesso, si dovrebbe parlare di ogni singolo membro, perché a riunire sotto una stessa denominazione idee le più diverse si ottiene forse un insieme, in senso cantoriano, ma difficilmente un partito.
Il terzo tradimento è il più grave di tutti, è quello che fa sanguinare il cuore, quello, direbbe Kierkegaard, che è una “scheggia nelle carni”. Il terzo tradimento è autoctono, ermafrodito, onanista, autoreferenziale, autarchico, autonomo, autosufficiente: è l'autotradimento. Una congerie di persone che si arrogano l'orgoglio di lavoratori della conoscenza, che si porgono come i depositari del sapere e della cultura, che si sentono e si dicono paladini e custodi della ricerca scientifica, del vero sapere, e dunque dei valori i più nobili dell'umanità, questa congerie e non altra tu la vedi correre dietro una bandiera, come gli ignavi del terzo canto: non sono contenti, ma non si oppongono; non condividono, ma si industriano a scrivere statuti e regolamenti; parlano di merito, e hanno le carriere e persino l'anzianità bloccata; e corrono, corrono, nudi, punti dalle vespe, dietro un'insegna vuota. Vivono sanza infamia e sanza lodo; ma vivono?
Che dire? Meglio affidarsi al Poeta: la loro cieca vita è tanto bassa che dovrebbero invidiar ogn'altra sorte. Ma purtroppo non ne possiamo mutuare le conclusioni: non possiamo dire ai nostri allievi, ai nostri collaboratori più giovani, ai nostri studenti: “non ti curar di lor, ma guarda e passa”; per andare dove, colleghi? All'inferno ci siamo già.
La CRUI rappresenta solo se stessa?
La CRUI rappresenta solo se stessa?
Comunicato RIUNIBA
Ricercatori e ricercatrici delle Università di Bari
Al presidente della CRUI
Prof. Mancini Marco
Assoluto sconcerto! Questo è il sentimento comune dei ricercatori dopo la lettura dell’ultimo documento prodotto dalla CRUI sulla didattica dei ricercatori. Dopo aver attivamente collaborato con il Governo rendendosi corresponsabile dell’approvazione della legge 240 (si vedano al proposito le lungimiranti dichiarazioni dell’allora presidente CRUI Decleva), l’associazione dei rettori italiani ritorna sulla scena del delitto per completare l’opera di distruzione dell’università pubblica italiana.
Non è bastato, infatti, coadiuvare il Governo nel progressivo definanziamento dell’università, nella scrittura della più verticistica delle riforme possibili, nella regionalizzazione del sistema universitario italiano, nella marginalizzazione delle università meridionali con conseguente progressiva trasformazione degli atenei del sud in teaching universities cioè in università con il mero compito di rilasciare lauree di primo livello ed emarginate finanziariamente dagli ambiti della ricerca di alto livello, competitiva ed internazionale.
Come se tutto questo non fosse stato sufficiente, i rettori chiedono al Governo di modificare la legge nella parte in cui viene ribadito l’obbligo della retribuzione della didattica aggiuntiva affidata ai ricercatori (art. 6 comma 4 della legge 240/2010). La proposta della CRUI su questo punto è assolutamente inqualificabile ed inaccettabile perché cerca di scaricare sui ricercatori, l’anello debole del sistema, i guasti, le disfunzioni e i debiti degli atenei italiani che, invece, hanno ben altri responsabili.
L’università è sottofinanziata, gli atenei hanno un disperato bisogno dei ricercatori per il mantenimento dell’offerta formativa, il cui grado di copertura in alcuni casi arriva fino al 50%, e i rettori che fanno? Chiedono forse al governo di procedere immediatamente all’abilitazione nazionale con chiamata diretta per coprire le carenze di organico presenti in ogni ateneo? Ovvero chiedono al governo dei finanziamenti ad hoc per pagare i ricercatori che si assumono l’onere della didattica? Ipotizzano per caso una valutazione dell’attività didattica svolta nelle idoneità o nei futuri scatti non più automatici ma legati al merito? Nulla di tutto questo. Chiedono invece al Governo la possibilità di far insegnare i ricercatori senza nessuna retribuzione, gratis et amore dei.
Sinceramente le dimissioni di Decleva avevano suscitato in molti di noi la speranza di un cambiamento di rotta rispetto ad una linea di totale appiattimento sulle posizioni del Governo. Ci eravamo illusi e la proposta consegnata qualche giorno fa al ministro dalla CRUI sta lì a testimoniare una continuità di linea politica rispetto al passato che ai più appare incomprensibile ed irrazionale allo stesso tempo.
Se queste sono le idee di chi governa l’università sulla didattica espletata dai ricercatori, ricordando che questa viene loro affidata previo consenso del ricercatore stesso, la risposta dei ricercatori non potrà che essere un ritorno alla indisponibilità totale, assoluta ed irremovibile.
Per concludere, se la linea della CRUI dovesse essere quella che si evince dal documento consegnato al ministro, allora diventa urgente chiedersi se ha ancora un senso far parte della CRUI, che, ricordiamo, non è un organo istituzionale, ma un’associazione di diritto privato. Senza un radicale cambiamento di rotta ci vedremo costretti a promuovere la convocazione di un referendum per chiedere alla comunità universitaria di esprimersi sull’adesione del proprio ateneo ad un’associazione che non rappresenta più l’Università pubblica, ma solo i rettori e le loro, per quanto legittime, ambizioni personali.
Bari lì 27/07/11
RIUNIBA
domenica 3 luglio 2011
Documento unitario del 30 giugno 2011
ADI, ANDU, APU, CISL-Università, COSAU (Adu, Cipur, Cisal, Cnru, Cnu),
CoNPAss, CPU, FLC-CGIL, LINK, RETE29Aprile, SNALS-Università, SUN, UDU, UGL-Università, UILPA-UR, USB-Pubblico impiego
Roma, 30 giugno 2011
Le organizzazioni sindacali e le associazioni universitarie, rappresentanti dei docenti, dei tecnico-amministrativi, dei precari e degli studenti, esprimono forte preoccupazione per la situazione dell’Università statale in Italia e per le sue prospettive.
Dopo la formulazione del documento unitario del 14 febbraio 2011 (“Per la democrazia negli statuti degli atenei italiani”) si deve constatare che le previsioni legate alle molte criticità della legge si stanno purtroppo realizzando.
Se da un lato il governo è in ritardo nell’emanazione dei previsti decreti attuativi – prolungando la paralisi di diversi aspetti delle attività universitarie – la redazione degli statuti nella maggior parte delle sedi non sta tenendo conto dei principi di partecipazione democratica evidenziati nel documento unitario.
In molte sedi le Commissioni (quasi mai individuate attraverso un’elezione dei componenti) non sembrano riuscire ad avere reale autonomia di manovra, in un processo che rimane guidato dagli establishment preesistenti. Nel complesso si delinea una Università fortemente verticistica e modellata – anche in seguito all’impronta della legge che è del tutto evidente non migliora la situazione precedente e comprime ulteriormente gli spazi di libertà ed autonomia garantiti dalla Costituzione.
In questo quadro le organizzazioni e le associazioni universitarie ribadiscono alcuni principi irrinunciabili per l’Università statale, la quale deve operare per il bene comune, come motore fondamentale dello sviluppo sociale e culturale del Paese e deve restare, attraverso la formazione delle cittadine e dei cittadini, presidio di partecipazione consapevole alla vita politico-sociale della comunità.
GESTIONE DEMOCRATICA E PARTECIPATA DEGLI ATENEI
Deve essere assicurata una reale e concreta partecipazione al governo degli Atenei di tutte le componenti della comunità universitaria.
Questo principio si realizza mediante componenti elettive nei Consigli di Amministrazione e nei Senati Accademici delle Università. Si deve evitare, allo stesso tempo, di snaturare la stessa logica partecipativa e collaborativa dei dipartimenti, come sta avvenendo affidando ad organismi ristretti ed elitari le principali scelte ad essi relative. Questo principio di gestione democratica e partecipata si realizza, altresì, con la partecipazione di tutte le componenti all’elezione del Rettore, figura che, nel sistema previsto dalla legge 240/10 vede un enorme incremento dei propri poteri, e che dunque necessita di una larga legittimazione da parte della comunità dell’Ateneo. Si ritiene altresì fondamentale prevedere forme di consultazione collettiva nelle scelte più importanti per la comunità universitaria e, in particolare, nella definizione degli Statuti.
AUTONOMIA E INDIPENDENZA DELLA RICERCA E DELLA DIDATICA
La libertà della ricerca e della didattica – costituzionalmente tutelata – è il principio cardine sul quale poggia l’intera istituzione universitaria. Questa libertà deve essere effettivamente garantita mediante una ricerca e una didattica autonome e indipendenti. Pensare di asservire l’Università alle necessità attuali e contingenti del mercato, senza tenere conto del bilancio sociale e arrivando a comprimere ricerca e didattica, è non solo concettualmente sbagliato ma anche controproducente. E’ attraverso ricerca e didattica libere che si dipana la possibilità di innovazione e di crescita culturale del Paese, condizioni imprescindibili per il progresso sociale e lo sviluppo economico.
Per questi motivi occorre sviluppare armonicamente la ricerca di base e applicata. E’ inoltre necessario ripensare una didattica che sia di qualità e accessibile a tutti, senza sbarramenti all’ingresso, valorizzando la qualità della formazione che non può essere ridotta all’adempimento di meri obblighi formali/burocratici.
PRECARIETA’
E’ necessario affrontare da subito l’esplosivo fenomeno della crescente precarietà nel settore dell’alta formazione. La situazione è aggravata dalla progressiva riduzione dei fondi e dall’espulsione degli attuali precari con il rischio della definitiva distruzione di un indispensabile patrimonio di competenza e di conoscenza, che altri e più lungimiranti Paesi si sono dimostrati pronti a utilizzare. Il sistema universitario ha bisogno di nuove intelligenze capaci di rinnovarlo e di garantire quella dimensione internazionale che tutti riconoscono come fondamentale.
E’ necessario non smantellare il sistema universitario: piuttosto occorre investire in esso per mantenere l’Italia fra i paesi più sviluppati, tenendo fede agli impegni presi in ambito europeo.
Per questo occorrono impegni concreti, tra cui, in particolare, la possibilità di reinvestire nel sistema universitario tutte le risorse che si renderanno disponibili dai pensionamenti, destinando oltre la metà di esse all’ingresso in ruolo di giovani, attualmente precari, che da anni già contribuiscono alle attività tecnico-amministrative, di formazione e di ricerca, spesso senza alcuna garanzia di tutela della titolarità del lavoro svolto e della produzione scientifica. Alle varie sedi universitarie, cui la legge affida la procedura di reclutamento attraverso regolamenti locali, spetta il compito di prevedere modalità che privilegino la trasparenza e che mettano al centro l’effettiva competenza dei candidati, nella prospettiva di un disegno culturale di medio-lungo termine che ogni Ateneo dovrebbe esplicitare per poter effettuare scelte coerenti.
DIRITTO ALLO STUDIO
Il diritto allo studio, tutelato dalla Costituzione, non può ridursi a mera formulazione di principio ma deve assumere forme concrete. In questo senso risulta paradossale il taglio del 95% al fondo nazionale che di fatto cancella il diritto allo studio e il sistema di servizi e borse di studio che ancora ad oggi supporta migliaia di studenti capaci e meritevoli, ma privi di mezzi. Dalla previsioni legislative non emerge alcun ripensamento che miri ad ampliare il sistema diritto allo studio, come pure accaduto in altri Paesi, ma si mira invece a trasformare in strumenti di indebitamento quello che dovrebbe essere una componente essenziale del welfare per gli studenti in un strumenti di indebitamento. Il principio dell’indebitamento si contrappone profondamente alla concezione dell’accesso al sapere non come costo, ma come investimento nella crescita e nello sviluppo del nostro paese, nonché come fattore principale della mobilità sociale. Inoltre il fondo per il merito e gli altri interventi che mirano a valorizzare esclusivamente i risultati accademici dello studente, prescindendo dalle sue condizioni economiche, non si possono configurare come interventi tesi a garantire il diritto allo studio, ma è necessario vincolare la ripartizione delle scarse risorse disponibili per garantire la parità d’accesso a tutti gli studenti. Su questo occorre che le istituzioni nazionali, assieme a quelle locali, si attivino per sostenere coloro che desiderano giungere ad una laurea per migliorare la propria formazione.
Le Università non devono in alcun modo sfruttare l’autonomia per una corsa a rialzo sulla tassazione studentesca, ma, soprattutto in un momento di forte definanziamento del sistema universitario, è necessario garantire in primis gli studenti, non facendo gravare su di loro il peso dei tagli. In questo contesto risulta prioritario ripensare e ampliare i diritti essenziali del welfare studentesco, garantendo da un lato la copertura totale delle borse di studio e dei servizi per tutti gli studenti idonei, dall’altro sviluppando nuove politiche sulle residenze studentesche e sostegni all’affitto, mense universitarie, trasporti, accesso alla cultura e assistenza sanitaria in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale.
FINANZIAMENTO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO
L’Università statale italiana non può più continuare ad offrire il proprio fondamentale contributo alla comunità in una prospettiva di continuo definanziamento. Ora che la riforma è stata varata, il livello di finanziamento – attualizzato – deve essere almeno riportato a quel che era prima dei recenti tagli Il finanziamento deve tener conto delle legittime aspettative di carriera e dai contratti; gli atenei debbono essere messi in condizione di poter redigere dei piani strategici pluriennali di ricerca e di formazione potendo contare su risorse certe, nell’ambito di un processo di valutazione continua e rigorosa del loro operato scientifico. E’ necessario che le istituzioni centrali prevedano un investimento di medio-lungo periodo nel sistema universitario. Investimento che, particolarmente in condizioni di crisi economica – come hanno dimostrato anche le accorte politiche di altri paesi europei come la Germania –, è fondamentale se si vuole riavviare lo sviluppo.
L’attuale situazione del finanziamento universitario è assolutamente insostenibile: lo è il fatto che, da alcuni anni a questa parte, la sua entità sia sistematicamente prevista al di sotto di quella necessaria a retribuire i lavoratori, salvo prevedere variazioni dell’ultimo momento – in seguito a contrattazioni non sempre trasparenti con gli establishment attuali – appena sufficienti per mantenere in vita un anno di più il sistema universitario statale. In queste condizioni, in cui nulla è possibile – non la pianificazione, certo non la ricerca scientifica particolarmente innovativa e neppure la gestione delle semplici attività routinarie – il sistema non può che implodere, generando continui conflitti alla ricerca di una sterile sopravvivenza da ottenere, alla bisogna, anche attraverso la compressione dei diritti di chi nel sistema lavora e dovrebbe operare essendo valorizzato e coinvolto. Non marginalizzato e demotivato. E’ in questa prospettiva che – segnaliamo – non è più possibile immaginare di procedere a vista, magari puntando tutto sul volontariato dei docenti, siano essi professori ordinari, associati o ricercatori, o dei precari della ricerca e della didattica o ancora del personale tecnico amministrativo. Oppure sulla tolleranza degli studenti, contando sul fatto che possano per un anno ancora considerare normale e fisiologica una ormai cronica penuria di servizi causata dai continui tagli. Questa continua riduzione del finanziamento all’Università statale non fa che mettere, in modo assolutamente miope, diverse generazioni in condizione di marcata disparità rispetto ai coetanei di altri Paesi europei in competizione con il nostro. Si tratta di una disparità e di una miopia che, se non si modifica la rotta, l’intero Paese pagherà a caro prezzo, nel prossimo futuro.
PUBBLICO E PRIVATO
Non si può immaginare di affidare il sistema dell’alta formazione italiana al settore privato, che ha già dimostrato di non garantire livelli adeguati di qualità. Non è accettabile la progressiva contrazione dei finanziamenti all’università statale, né la delega al settore privato della gestione delle risorse statali, come lasciano intravedere la previsione legislativa del nuovo “modello” di CdA e il crescente interesse alla costituzione di fondazioni. E, in questo quadro, neppure è condivisibile – come abbiamo avuto occasione di dire in una recente audizione sul tema in Senato – l’ipotesi di abolizione del valore legale del diploma di laurea, che delegherebbe al “mercato” funzioni di natura e di interesse pubblici.
Soltanto lo Stato può essere garante di un sistema di ricerca e di alta formazione che sia effettivamente al servizio della crescita culturale del Paese. In questa prospettiva, mentre vanno certamente incentivate tutte le forme di leale e proficua collaborazione tra pubblico e privato, ci appare fondamentale garantire un sistema che funzioni avendo come guida l’interesse collettivo (gestione democratica e partecipata) e non oligarchico-baronale; un sistema nel quale la libertà di ricerca e di didattica vengano garantite e tutelate, anche trasformando finalmente la precarietà in stabile e proficuo impegno per l’istituzione; solo lo Stato può investire sulla propria cittadinanza rendendo effettivo il diritto allo studio, ed è allo Stato, quindi, che spetta – nell’interesse collettivo – il compito di definire questo investimento non come aspetto secondario e come un “problema di costi”, ma come priorità.
Per discutere su tutte queste questioni saranno indette unitariamente negli Atenei Assemblee di tutte le componenti.
giovedì 23 giugno 2011
Il sindacalista con un occhio solo, ovvero: la miopia degli Angeletti custodi
Il 13 giugno 2011 il Segretario generale della UIL, Luigi Angeletti, in una sua dichiarazione, individua i dipendenti pubblici non contrattualizzati tra le persone alle quali portar via ulteriori soldi dato che avrebbero stipendi altissimi. Tra questi, docenti e ricercatori universitari di ruolo.
Luigi Angeletti sembra tuttavia tralasciare (forse perché non li conosce) alcuni dati importanti. Innanzitutto, è completamente falso che gli stipendi di ricercatori e docenti siamo aumentati del 40% negli ultimi anni: i cedolini degli stipendi sono a disposizione per dimostrarlo. È invece verissimo che la retribuzione media di ricercatori e docenti universitari è ridicolmente bassa rispetto a quelle europee. Nonostante ciò, dopo la finanziaria del 2008 che dilazionava di un anno gli scatti stipendiali, con la legge finanziaria 2010 ricercatori e professori universitari hanno subito, tramite il blocco delle progressioni stipendiali e nel silenzio generale – Angeletti compreso – un pesantissimo e permanente taglio sui propri stipendi. Per un giovane ricercatore la perdita supera i 200mila euro nell’arco della vita (stima de «IlSole24Ore»): l’equivalente del mutuo per l’acquisto di una casa, contratto ope legis a favore di Tremonti (il quale però, come è noto, non mette le mani nelle tasche dei contribuenti: l’esperienza dimostra che agisce direttamente sui cedolini stipendiali).
In secondo luogo, il Segretario Angeletti, anziché valorizzare il settore pubblico e contribuire ad una sua migliore organizzazione, anziché proporre una strategia fiscale più accorta che sveli il mistero buffo dei soliti ignoti (l’Italia è ormai tristemente famosa per avere una tassazione squilibrata e un’altissima evasione con una stima di 300 miliardi di euro annui), ritiene opportuno suggerire di drenare soldi sempre dai dipendenti pubblici. Questa strategia è imbarazzante, perché da un lato crea una divisione inopportuna e ingiustificata tra dipendenti pubblici contrattualizzati e non, e dall’altro scarica le conseguenze della crisi sulle spalle di coloro che ne sono già vittime, senza esserne in alcun modo responsabili.
Dimentica, il segretario Angeletti, che il governo attuale ha appena buttato nel cestino alcune centinaia di milioni di euro per separare i referendum dalle elezioni amministrative e che ne ha fatti sprecare altri per la ristampa delle schede in seguito al tentativo, fallito, di impedire il referendum sul nucleare. Dimentica, il segretario Angeletti, che in Italia un albergo che abbia una cappellina diventa un luogo di culto che non paga l’ICI e che la tassazione sulle rendite finanziarie è la più bassa di tutti i paesi avanzati. Per completare questo quadro, ci sono voci insistenti su una possibile decurtazione delle tredicesime (che non sono soldi in più ma solo soldi dovuti che vengono trattenuti durante l’anno e dati a dicembre) dei dipendenti pubblici. Non si capisce quindi a chi giovi creare inutili e perniciose spaccature tra i dipendenti pubblici costantemente sotto attacco da parte di vari ministri, a partire da quello della funzione pubblica che non perde occasione per definirli fannulloni.
Se si vuole realmente rilanciare il nostro paese serve mettere in atto una strategia di investimenti in settori essenziali quali formazione e ricerca, da finanziare tramite una razionalizzazione fiscale in senso progressivo (far pagare di più a chi ha di più e di meno a chi ha di meno) e una seria lotta all’evasione, che non passi per un riciclaggio di Stato a buon mercato offerto su di un piatto d’argento a chi ha evaso il fisco e portato all’estero capitali di dubbia provenienza (cosa altro è se non riciclaggio a buon mercato - e a danno dello Stato - far pagare il 5% contro il 43% dovuto?). Serve rimettere l’interesse pubblico e i beni comuni (tra cui la ricerca e la formazione) al centro della società.
Siamo stanchi di essere sempre più tacciati come scansafatiche e mangiapane a tradimento per colpa di chi ne approfitta per fini personali o interessi particolari. A chi gestisce e organizza il pubblico impiego – dalla politica ai sindacati - spetta la responsabilità di garantire tanto i doveri quanto i diritti (e innanzi tutto la dignità) dei lavoratori che forniscono e assicurano i servizi pubblici essenziali, da quelli amministrativi a quelli della formazione e della giustizia nell’interesse del Paese, di tutti e di ciascuno.
Speriamo davvero che la si finisca, con volontà evidentemente suicida, di utilizzare i casi di mala organizzazione – di cui si è magari corresponsabili – per colpire ed infamare milioni di persone che lavorano esclusivamente per l’interesse pubblico e che hanno a cuore l’etica pubblica. Un vento si sta levando forte, ed è il vento dei beni comuni garantiti dal pubblico e dalla partecipazione dei cittadini, non dei giochi di questo o quel partito o questo o quel sindacato.
CoNPAss
Coordinamento nazionale Professori Associati
R29A
Ricercatori per un’Università Pubblica, Libera e Aperta
Luigi Angeletti sembra tuttavia tralasciare (forse perché non li conosce) alcuni dati importanti. Innanzitutto, è completamente falso che gli stipendi di ricercatori e docenti siamo aumentati del 40% negli ultimi anni: i cedolini degli stipendi sono a disposizione per dimostrarlo. È invece verissimo che la retribuzione media di ricercatori e docenti universitari è ridicolmente bassa rispetto a quelle europee. Nonostante ciò, dopo la finanziaria del 2008 che dilazionava di un anno gli scatti stipendiali, con la legge finanziaria 2010 ricercatori e professori universitari hanno subito, tramite il blocco delle progressioni stipendiali e nel silenzio generale – Angeletti compreso – un pesantissimo e permanente taglio sui propri stipendi. Per un giovane ricercatore la perdita supera i 200mila euro nell’arco della vita (stima de «IlSole24Ore»): l’equivalente del mutuo per l’acquisto di una casa, contratto ope legis a favore di Tremonti (il quale però, come è noto, non mette le mani nelle tasche dei contribuenti: l’esperienza dimostra che agisce direttamente sui cedolini stipendiali).
In secondo luogo, il Segretario Angeletti, anziché valorizzare il settore pubblico e contribuire ad una sua migliore organizzazione, anziché proporre una strategia fiscale più accorta che sveli il mistero buffo dei soliti ignoti (l’Italia è ormai tristemente famosa per avere una tassazione squilibrata e un’altissima evasione con una stima di 300 miliardi di euro annui), ritiene opportuno suggerire di drenare soldi sempre dai dipendenti pubblici. Questa strategia è imbarazzante, perché da un lato crea una divisione inopportuna e ingiustificata tra dipendenti pubblici contrattualizzati e non, e dall’altro scarica le conseguenze della crisi sulle spalle di coloro che ne sono già vittime, senza esserne in alcun modo responsabili.
Dimentica, il segretario Angeletti, che il governo attuale ha appena buttato nel cestino alcune centinaia di milioni di euro per separare i referendum dalle elezioni amministrative e che ne ha fatti sprecare altri per la ristampa delle schede in seguito al tentativo, fallito, di impedire il referendum sul nucleare. Dimentica, il segretario Angeletti, che in Italia un albergo che abbia una cappellina diventa un luogo di culto che non paga l’ICI e che la tassazione sulle rendite finanziarie è la più bassa di tutti i paesi avanzati. Per completare questo quadro, ci sono voci insistenti su una possibile decurtazione delle tredicesime (che non sono soldi in più ma solo soldi dovuti che vengono trattenuti durante l’anno e dati a dicembre) dei dipendenti pubblici. Non si capisce quindi a chi giovi creare inutili e perniciose spaccature tra i dipendenti pubblici costantemente sotto attacco da parte di vari ministri, a partire da quello della funzione pubblica che non perde occasione per definirli fannulloni.
Se si vuole realmente rilanciare il nostro paese serve mettere in atto una strategia di investimenti in settori essenziali quali formazione e ricerca, da finanziare tramite una razionalizzazione fiscale in senso progressivo (far pagare di più a chi ha di più e di meno a chi ha di meno) e una seria lotta all’evasione, che non passi per un riciclaggio di Stato a buon mercato offerto su di un piatto d’argento a chi ha evaso il fisco e portato all’estero capitali di dubbia provenienza (cosa altro è se non riciclaggio a buon mercato - e a danno dello Stato - far pagare il 5% contro il 43% dovuto?). Serve rimettere l’interesse pubblico e i beni comuni (tra cui la ricerca e la formazione) al centro della società.
Siamo stanchi di essere sempre più tacciati come scansafatiche e mangiapane a tradimento per colpa di chi ne approfitta per fini personali o interessi particolari. A chi gestisce e organizza il pubblico impiego – dalla politica ai sindacati - spetta la responsabilità di garantire tanto i doveri quanto i diritti (e innanzi tutto la dignità) dei lavoratori che forniscono e assicurano i servizi pubblici essenziali, da quelli amministrativi a quelli della formazione e della giustizia nell’interesse del Paese, di tutti e di ciascuno.
Speriamo davvero che la si finisca, con volontà evidentemente suicida, di utilizzare i casi di mala organizzazione – di cui si è magari corresponsabili – per colpire ed infamare milioni di persone che lavorano esclusivamente per l’interesse pubblico e che hanno a cuore l’etica pubblica. Un vento si sta levando forte, ed è il vento dei beni comuni garantiti dal pubblico e dalla partecipazione dei cittadini, non dei giochi di questo o quel partito o questo o quel sindacato.
CoNPAss
Coordinamento nazionale Professori Associati
R29A
Ricercatori per un’Università Pubblica, Libera e Aperta
sabato 18 giugno 2011
Conferma in ruolo: per il governo il blocco degli stipendi NON si applica
"Questo Ministero ritiene che i passaggi dei ricercatori e professori associati da non confermati a confermati e dei professori straordinari a ordinari devono essere intesi non come avanzamento di carriera ma, più correttamente, come atti di conferma del suddetto personale nel ruolo già acquisito. Non trattandosi, pertanto, di progressioni di carriera, non trova applicazione, alle suddette conferme in ruolo, la disposizione di cui all'articolo 9, comma 21, del decreto-legge n. 78 del 2010 con conseguente efficacia delle stesse sia ai fini giuridici sia ai fini economici con attribuzione del relativo adeguamento stipendiale.
Esclusa l'applicabilità della disposizione di cui all'articolo 9, comma 21, del citato decreto-legge, non osta all'adeguamento stipendiale neanche la disposizione di cui al comma 1 del medesimo articolo che, pur dettando un principio di carattere generale di contenimento delle spese in materia di pubblico impiego, non trova applicazione al rapporto di impiego dei professori e ricercatori universitari in ragione del diverso regime giuridico a cui è soggetto il suddetto personale e giusta la disposizione speciale di cui al comma 21."
Così Luca Bellotti, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali in risposta ad un'interrogazione presentata da Salvatore Vassallo (PD) e sottoscritta da diversi altri deputati. Il testo completo dell'interrogazione della relativa risposta è consultabile qui.
Le università, che in stragrande maggioranza avevano interpretato restrittivamente la norma, devono ora prendere atto della posizione del governo, il quale però paradossalmente annuncia (vedi risposta del sottosegretario Bellotti) che non intende intervenire formalmente, dal momento che "l'adozione da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di una circolare di tipo interpretativo, volta a dettare una determinata applicazione delle disposizioni di legge, si esporrebbe a possibili censure, anche sul piano della legittimità".
Spiegazione che non regge: da un lato i Ministeri non hanno mai esitato a emanare circolari su temi di organizzazione e funzionamento interno delle Università, dall'altro (come ha giustamente rimarcato anche Alberto Pagliarini) il MEF (ministero economia e finanze) o la Funzione pubblica potrebbero emanare non una circolare ma una nota illustrativa sull'applicazione dell'art. 9, commi 1 e 21 della legge 122/2010 o, al limite, un D.M (decreto ministeriale) del MEF che fissi i criteri di applicabilità ai docenti universitari delle predette norme.
C'è da sperare che le Amministrazioni universitarie mostrino sufficiente maturità e responsabilità, nonostante tutto.
lunedì 6 giugno 2011
Libertà di dissenso
La Rete29Aprile, il Coordinamento Precari Università (CPU) e il Coordinamento Nazionale Professori Associati (CoNPAss) manifestano la loro preoccupazione per le iniziative giudiziarie contro 78 cittadine e cittadini partecipanti a iniziative pubbliche di dissenso a Firenze, fra i quali anche studenti impegnati nella protesta in difesa della istruzione e dell'universita' pubblica e in difesa dei valori costituzionali. Una vicenda che ha sconvolto Firenze e la sua cittadinanza critica attiva.
A questa notizia si aggiungono quelle altrettanto allarmanti provenienti da Padova e da Rende.
Come lavoratorici e lavoratori della conoscenza, ricercatrici e ricercatori, docenti universitari italiani, convinti difensori dei valori democratici, aderiamo quindi all'Appello per la libertà di dissenso e auspichiamo da parte di individui e associazioni la più estesa solidarietà al mondo studentesco impegnato, fondamentale ingrediente per un futuro migliore in questo paese.
Al contempo Rete29Aprile, CPU e CoNPAss invitano tutti coloro che sono impegnati nelle battaglie civili che riguardano il mondo dell'istruzione e dell'università a costruire uno spazio comune per segnalare e denunciare analoghi episodi.
martedì 17 maggio 2011
L'Università dice "sì" ai referendum
Il Coordinamento Precari Università, Rete 29 Aprile e CoNPAss
votano 4 volte SI al Referendum del 12-13 Giugno!
Il Coordinamento Precari Università (CPU), il Coordinamento Nazionale dei Professori Associati (CoNPass) e la Rete 29 Aprile si aggiungono alle diverse voci che in questi giorni hanno sottolineato con forza l'importanza del Referendum del 12 e 13 giugno, in quanto momento oggi imprescindibile, nei metodi e nei contenuti, per il futuro del nostro paese oltre che strumento fondativo della democrazia.
In qualità di ricercatori e ricercatrici strutturati e precari, professori associati, scienziate e scienziati, guardiamo con estrema preoccupazione ai tentativi con i quali il governo vorrebbe predisporre affrettatamente atti aventi forza di legge in materia di nucleare e di acqua, e ci uniamo a quanti hanno sottolineato che tale operato non solo mancherebbe dei requisiti costituzionali necessari in tema di urgenza, necessità e tempistica, ma costituirebbe un attacco esplicito alla democrazia ed un intervento strumentale illegittimo nel suo tentativo di impedire ai cittadini di esprimere la propria volontà.
In un momento di tagli continui ed indiscriminati all'università, alla sanità e alla cultura, siamo preoccupati per le modalità unilaterali con le quali il governo sta gestendo la vita pubblica e i beni comuni: l'acqua, l'aria, il territorio, la salute, la scuola e l'università. Ci preoccupa che il governo intenda deliberare su questi temi senza tenere in alcun conto le espressioni di dissenso e di partecipazione attiva che da mesi animano il dibattito pubblico, prescindendo parimenti dal rispetto dell'etica pubblica e delle norme. Ci indigna che al sol fine di limitare l'affluenza alle urne la campagna referendaria sia stata oscurata e che il governo abbia preferito spendere 300 milioni di euro (la stessa cifra sottratta al diritto allo studio) piuttosto che accorpare i referendum alle elezioni amministrative di maggio.
In qualità di scienziati e scienziate, ci sentiamo in dovere di rispondere alle dichiarazioni spesso semplicistiche che il governo e taluni "specialisti" hanno reso in tema di nucleare. Se, infatti, da un lato ci fa sorridere che vi sia ancora chi, al governo, confonde la fissione dell'atomo con la cosiddetta "scomposizione delle cellule" da cui originerebbe l'energia nucleare, o ci sorprende che alcuni "scienziati" considerino l'energia del sole come "una frode", dall'altro ci sembra decisamente allarmante che su tali imbarazzanti considerazioni si fondi la politica di sviluppo energetico del nostro paese. Nell'ascoltare tali dichiarazioni, infatti, ci rendiamo conto di quanto le politiche del governo prescindano tanto dalla volontà della popolazione, quanto dalle opinioni di chi, nella comunità scientifica, ancora fonda le proprie opinioni sulla ricerca, sul rispetto delle regole, sull'etica e sulla preoccupazione per il futuro degli ecosistemi e con essi dell'umanità.
Riteniamo che l'oscuramento della volontà pubblica, il definanziamento della ricerca pubblica e la censura delle opinioni della comunità scientifica indipendente, siano tutte parte di uno stesso strumento di governo arbitrario, lesivo della vita collettiva, offensivo del paese e potenzialmente letale per il presente e per il futuro. Ci uniamo pertanto a quanti hanno osservato con dolore la tragedia di Fukushima e a quanti temono per l'impatto potenziale che la scelta del nucleare avrebbe sulla qualità della vita delle generazioni a venire, e riteniamo che la politica pubblica non possa ulteriormente procedere in netta contrapposizione con l'opinione della collettività.
Per tutte queste ragioni chiediamo al governo politiche pubbliche rispettose della vita umana e dell'ambiente. Chiediamo paradigmi di sviluppo sostenibili e compatibili con la vita. Chiediamo politiche ed investimenti a favore della ricerca pubblica, cosa che riteniamo fondamentale in particolare in questa delicata fase storica, affinché chi fa ricerca possa continuare ad esprimere opinioni libere, nel rispetto del benessere comune a prescindere dagli interessi privati. Chiediamo rispetto e finanziamenti a favore dei beni comuni quali l'istruzione (scuola e università pubbliche), l'acqua e le energie rinnovabili, la salute, la tutela e la conservazione dell'ambiente, in quanto le riteniamo tutte fondamentali per il benessere presente e futuro della collettività in cui viviamo.
Il 12 e il 13 giugno andremo a votare 4 volte SI: contro la privatizzazione dell'acqua, contro il nucleare e contro il legittimo impedimento per ribadire che al mondo siamo tutti eguali, e tantopiù di fronte alla legge. In qualità di docenti, ricercatrici e ricercatori, scienziati e scienziate, ci impegniamo altresì a sostenere e diffondere una cultura di rispetto per l'ambiente, per l'etica e per i beni comuni, perché consideriamo tale cultura non solo come nostro dovere deontologico ma come l'unica via per un domani migliore.
lunedì 2 maggio 2011
5 maggio 2011 - L'UNIVERSITA' DELL'INSUBRIA INCONTRA I CANDIDATI SINDACI DI VARESE
Il prossimo giovedì 5 maggio alle 17, presso la Sala Montini dell'Istituto "De Filippi" in Via Brambilla n. 15 a Varese, si svolgerà un incontro tra studenti, personale e docenti del nostro Ateneo con i candidati sindaci al Comune di Varese sul tema dei rapporti tra università e città nella prospettiva delle elezioni amministrative comunali che si terranno il 15 e 16 maggio.
L'incontro, promosso e organizzato da APeR - Associazione dei Professori e dei Ricercatori dell'Università dell'Insubria in collaborazione con le rappresentanze studentesche di Ateneo e con ASVP - Associazione Studenti Varese e Provincia, sarà moderato dalla giornalista Stefania Radman.
APeR Insubria nasce nel 2008 per iniziativa di alcuni docenti dell'Ateneo con l'obiettivo di promuovere lo studio dei problemi connessi alla ricerca e alla didattica nell’università e la realizzazione di iniziative tese alla formulazione di proposte per la loro soluzione. Con questa ulteriore iniziativa, APeR intende fornire un contributo utile a inserire i temi della cultura, dell'istruzione e dell'università tra le priorità dell'agenda politica e amministrativa di Varese.
Il concorso con le rappresentanze e le associazioni studentesche della città nell'organizzazione dell'incontro rappresenta un segnale forte dello sviluppo di "Varese Città Universitaria", che richiede una nuova consapevolezza da parte del futuro governo cittadino. I candidati sindaci sono chiamati ad assumersene l'impegno di fronte alla comunità accademica e ai cittadini.
APeR
http://aperinsubria.blogspot.com/
aper.insubria@gmail.com
ASVP
http://www.asvp.it/
info@asvp.it
Federico II: contro la violenza politica
I docenti dell’Università di Napoli Federico II organizzati nel CoNPass - Coordinamento Nazionale Professori Associati e nella Rete 29 Aprile esprimono la loro più viva preoccupazione per le violenze verificatesi venerdì 29 maggio 2011 davanti alla Facoltà di Lettere e Filosofia in via Porta di Massa, dopo che, la sera prima, le pareti esterne dell’edificio erano state ricoperte da scritte e simboli inneggianti al nazismo e allo squadrismo fascista (svastiche, "antifà vi buchiamo", ecc. ). Quando, nel corso della mattinata, alcuni studenti dei collettivi hanno iniziato a cancellare simboli e scritte, sono intervenuti alcuni giovani neofascisti armati di coltello, generando scontri, sui quali la magistratura sta indagando, e provocando almeno tre feriti per arma da taglio e un contuso. A questo grave episodio, come tutti sanno, hanno fatto seguito altri momenti di violenza politica e intolleranza nella Città.
In attesa che la magistratura accerti le responsabilità individuali e collettive di tali eccessi, per quanto riguarda il nostro Ateneo non possiamo non osservare che simboli nazisti e minacce agli “antifà(scisti)” offendono tutti noi, il nostro Ateneo e i valori condivisi di libertà e democrazia. Nel condannare l’accaduto, auspichiamo che vengano prese misure volte a prevenire il ripetersi di tali episodi, in particolare:
- che l’Ateneo provveda immediatamente alla cancellazione di simboli e slogan inneggianti al nazifascismo. Tale compito non può assolutamente essere delegato all’iniziativa di gruppi di studenti, quasi se solo per questi ultimi tali simboli fossero intollerabili e non per la dignità e la coscienza civile di noi tutti;
- stabilire un collegamento efficiente tra custodi delle Facoltà e forze dell’ordine, affinché vi sia una risposta istituzionale immediata nel caso di ripetersi di violenze, non solo all’interno ma anche nell’immediata zona di accesso alla Facoltà di Lettere, così come in tutte le altre Facoltà della Federico II;
- promuovere iniziative di incontro tra studenti e docenti sui temi dell’antifascismo, della legalità, del ripudio della violenza politica e dell’intolleranza e in favore di forme democratiche di mobilitazione, dissenso e protesta.
CoNPAss www.professoriassociati.it
Rete 29 Aprile www.rete29aprile.it
In attesa che la magistratura accerti le responsabilità individuali e collettive di tali eccessi, per quanto riguarda il nostro Ateneo non possiamo non osservare che simboli nazisti e minacce agli “antifà(scisti)” offendono tutti noi, il nostro Ateneo e i valori condivisi di libertà e democrazia. Nel condannare l’accaduto, auspichiamo che vengano prese misure volte a prevenire il ripetersi di tali episodi, in particolare:
- che l’Ateneo provveda immediatamente alla cancellazione di simboli e slogan inneggianti al nazifascismo. Tale compito non può assolutamente essere delegato all’iniziativa di gruppi di studenti, quasi se solo per questi ultimi tali simboli fossero intollerabili e non per la dignità e la coscienza civile di noi tutti;
- stabilire un collegamento efficiente tra custodi delle Facoltà e forze dell’ordine, affinché vi sia una risposta istituzionale immediata nel caso di ripetersi di violenze, non solo all’interno ma anche nell’immediata zona di accesso alla Facoltà di Lettere, così come in tutte le altre Facoltà della Federico II;
- promuovere iniziative di incontro tra studenti e docenti sui temi dell’antifascismo, della legalità, del ripudio della violenza politica e dell’intolleranza e in favore di forme democratiche di mobilitazione, dissenso e protesta.
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