martedì 4 ottobre 2011

Appello studenti Link - Palayana verso il 15 ottobre


Cari docenti, ricercatori e ricercatrici, dottorandi e dottorande,


non vi sfuggirà il fatto che quest’anno cominciamo l’università dentro le macerie di un disastro annunciato. Non vi saranno sfuggite le parole che il rettore dell’Alma Mater ha pronunciato qualche giorno fa al termine di un Senato Accademico, parole drammatiche, che a nostro avviso rischiano di arrivare troppo tardi, quando i giochi sono fatti e nel modo peggiore.

E’ dal 2008 che noi studenti proviamo a mettere in guardia il mondo accademico e l’opinione pubblica di questo paese rispetto al fatto che si sarebbe andati inesorabilmente incontro ad uno smantellamento dell’Università senza precedenti nella storia, ad una significativa e definitiva perdita di significato di quei luoghi del sapere che abitiamo quotidianamente. Le nostre istanze, le nostre rivendicazioni, sono spesso state fraintese, o giudicate allarmiste, o semplicemente trattate con superficialità, e solo raramente comprese nella loro veemenza.

Dal 2008 sono passati tre anni, e il mondo è cambiato. Potremmo dire che forse l’Università è stata tra le prime a provare cosa significasse smantellare il ruolo del pubblico, de-finanziandolo in modo invalidante, prima ancora che inceppandone il funzionamento con una pasticciata contro-riforma strutturale. L’Università prima di ogni altro comparto del sistema pubblico ha subito a proprie spese l’uso strumentale del dispositivo emergenziale della crisi per togliere fondi e ridurre tutto alle macerie che oggi inesorabilmente attraversiamo. Macerie non solo metaforiche, perché hanno immediate ricadute nella quotidianità della gran parte degli studenti e dei docenti che pure accettano di anno in anno, e senza quasi nessun contraddittorio, peggioramenti effettivi della propria esistenza e la chiusura progressiva degli spazi del libero accesso a quel che resta dell’università pubblica.

Non è tutto. Questo è l’anno in cui la crisi economica fa sentire tutta la propria forza devastatrice, l’anno in cui si accorcia definitivamente la distanza tra finanza e vita e in cui un paese come il nostro, già al collasso da tempo, diventa teatro di devastazione sociale drammatica. Dai nostri atenei escono quei numeri che l’Istat riporta di anno in anno, i laureati disoccupati senza futuro e senza reddito, usciti da un’Università carissima, sempre più inerte e che ha rinunciato quasi ovunque a produrre sapere critico dentro l’emergenza viva del nostro presente. Dentro questa miseria, evidentemente non solo materiale, sembra che ovunque in Europa, si cominci a prendere parola dal basso, si comincia a riaprire spazi di democrazia e discussione. Sembra che si cominci a denunciare la dittatura della finanza, e a chiedere nuovo potere della politica, resa afasica dalla tecnocrazia.

In Italia tutto ancora tace, non sappiamo per quanto ancora. Ci chiediamo da tempo: se la crisi ha messo in luce, ad esempio, l’evidente fallimento di un sistema economico e sociale, che non riesce ad uscire in modo convincente dalla proprio collasso, da dove devono uscire proposte reali di alternativa se non proprio dall’università? Dove si sperimentano, saperi in grado di sostenere nuovi modelli di sviluppo e nuovi modi di organizzazione politica e sociale, se non da produttive sinergie tra i movimenti sociali e i luoghi dell’Accademia, mortificata e ridotta a terreno di mera corporazione?

E invece tutto scorre come se questo tempo, come se questa crisi così devastante del comparto formazione, del paese e del mondo tutto, non toccasse neppure marginalmente l’Università, anche se non ci sono più nemmeno i soldi per la carta, anche se le rate di quest’anno sono aumentate vertiginosamente costringendo studenti- e ne conosciamo tanti-a rinunciare all’anno accademico a causa dei costi, anche se non esiste più tutela alcuna del diritto allo studio, anche se i corsi di laurea chiudono e il turn-over è paralizzato.

Nonostante tutto questo, se l’anno scorso iniziò almeno con la dichiarata indisponibilità di tanti ricercatori e ricercatrici -indisponibilità che mise in evidenza la protervia di tanti rettori in cerca di contratti di docenza per coprire i vuoti, innanzitutto politici, che quelle assenze lasciavano - quest’anno l’Università è chiusa in un silenzio omertoso, e noi con queste poche righe non abbiamo alcuna voglia né intenzione di palleggiare le responsabilità o le colpe, ma solo di stimolare un ragionamento.

Da un mese è nato dentro la Federico II un luogo di discussione pubblica, un agorà che ospita soggettività studentesche democratiche e di movimento, come LINK e il laboratorio Palayana (nodo della rete nazionale UNICOMMON) così come singoli, che agiscono e discutono l’urgenza del presente, assumendosi la responsabilità della complessità dello stesso.

Partiamo dall’organizzazione del 15 ottobre, una data inedita per il mondo, una data in cui si manifesterà in ogni piazza delle capitali d’Europa contro l’Austerity, contro il governo delle banche, e per una nuova democrazia dei popoli. Oltre il 15 proverà a lanciare spunti di studio e di ragionamento, per smuovere il calmissimo mare dell’università, a imporre fuor di retorica la drammatica questione della povertà e della disoccupazione, della precarietà e del welfare. Non ci accontenteremo di nessuna semplificazione e proveremo a scrivere un percorso che stia tutto dentro il rapidissimo svolgersi degli eventi. Vorremmo non restare a parlarne solo tra studenti. Per questo vi abbiamo scritto questo breve appello.

Saluti a tutti,

Workshop permanente contro la crisi Federico II

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