venerdì 14 ottobre 2011

Chi è in debito e chi è in credito - CoNPAss e il 15 ottobre


Il Coordinamento Nazionale dei Professori Associati partecipa all'indignazione del 15 ottobre.


I connotati di grande respiro internazionale e di vasta partecipazione giovanile sono elementi importanti, che possono aprirsi a sviluppi nuovi e promettenti, in contrasto con le prevalenti tesi dominanti, che ripropongono all'infinito ricette neoliberiste, assumendo le regole di mercato, così come esse stesse le hanno definite, come assiomi incontrovertibili. Cercano così la medicina all'interno della malattia, cioè il rimedio entro il male. Di tali ricette ci sentiamo volentieri di fare a meno; mai come in questo caso si dovrebbe dire: medice, cura te ipsum.

All'affermazione dei nostri giovani: “Il debito non l'abbiamo fatto noi” vogliamo replicare che sicuramente non l'abbiamo fatto neanche noi, poiché operiamo in un Paese che è, tra i Paesi OCSE, agli ultimi posti per le spese per L'Università e la ricerca e per la scuola. Ma vorremmo fare un passo in più. Non solo riteniamo che i giovani non siano in debito; da quanto sopra, vogliamo aggiungere che essi sono in credito; in credito, proprio per quanto s'è detto, almeno di tutto quanto avrebbe dovuto essere investito su di loro, ed è stato a loro sottratto.

Il mondo della cultura è il primo che paga il conto delle situazioni difficili, è quello i cui tagli danno effetti meno appariscenti, nell'immediato, ma i guasti più profondi per un avvenire indeterminatamente lungo. Cioè, per citare uno slogan diffuso, nel rubare il futuro.

mercoledì 5 ottobre 2011

Comprendere la crisi, pretendere democrazia - appello per le lezioni sulla crisi e i referendum sugli statuti in tutte le università

Un nuovo anno accademico sta per iniziare, l'università che si presenta agli occhi di quegli studenti che per la prima volta varcano le porte dei nostri Atenei è un luogo sempre più svuotato delle sue funzioni principali, dove la stessa ragione sociale della sua esistenza, la possibilità di sviluppare una didattica di qualità e aperta a tutti e una ricerca libera, viene messa in discussione.

L'applicazione della riforma Gelmini e i tagli di Tremonti delineano un processo di distruzione dell'università pubblica, di precarizzazione estrema della ricerca, di smantellamento del diritto allo studio. Il piano ormai chiaro – e in larga misura condiviso in maniera bipartisan – è creare un sistema di “eccellenza” blindato, caratterizzato da numero chiuso e didattica non retribuita, le cui anime siano lo sfruttamento del lavoro intellettuale, sia esso fornito da personale precario o di ruolo, e la competizione. Il blocco delle carriere e del reclutamento, l'espulsione di migliaia di precari dalle università, l'accentramento dei poteri decisionali nelle oligarchie baronali sta riducendo gli spazi di democrazia negli atenei, tutto questo mentre il numero degli iscritti all'università è in costante ribasso, il diritto allo studio vuole essere trasformato in un sistema di prestiti d'onore caratterizzato dall'indebitamento precoce, gli economisti studiano ricette sempre nuove per scaricare il finanziamento pubblico all'università sugli studenti chiedendo loro di pagare rette di 10.000 euro l'anno, e il mercato del lavoro è un deserto di precarietà.

A questo processo i Rettori collaborano alacremente: a luglio la Conferenza dei Rettori (Crui) ha chiesto al ministro Gelmini la libertà di alzare indiscriminatamente le tasse agli studenti, rimuovendo il vincolo che impone un tetto massimo pari al 20% del finanziamento statale, di poter superare la stessa Legge 240 per utilizzare gratuitamente i ricercatori di ruolo per la didattica, di eliminare il limite di 40.000 euro di reddito annuo ai lavoratori autonomi al fine di offrire contratti di insegnamento gratuito ai ricercatori precari.

Contro tutto questo l'anno scorso noi studenti, dottorandi, ricercatori, professori, precari e strutturati ci siamo opposti con forti mobilitazioni dentro e fuori gli atenei, salendo sui tetti, occupando monumenti, rendendoci indisponibili, gridandolo nelle strade delle nostre città. In piazza c'erano soprattutto due generazioni: dai ventenni ai quarantenni, le stesse generazioni che sono da tempo estromesse dalla società e dalla politica italiane.

Riconosciamo come l'attacco all'università pubblica non sia un fatto isolato, ma al contrario inserito all'interno del contesto di crisi economica, sociale e democratica che le nostre generazioni stanno vivendo.

Una crisi che mette in luce come l’attuale modello di sviluppo economico abbia come sola guida la ricerca del profitto e come orizzonte temporale l’apertura e la chiusura dei mercati finanziari. In questi mesi stiamo assistendo alle catastrofiche conseguenze di politiche economiche iperliberiste fondate su una competizione senza limiti né regole, che si traducono in sfruttamento indiscriminato: crisi ambientale ed energetica, esaurimento delle risorse naturali e alimentari, impoverimento della solidarietà sociale, mercificazione dei diritti fondamentali, strapotere di banchieri e finanzieri e speculatori, povertà, disoccupazione e precarietà sono solo alcuni di questi aspetti.

Parliamo di un modello di potere basato sulla speculazione e sulla ricchezza di pochi e non sul benessere di tutti. Come un Robin Hood al contrario, invocano l’eliminazione di diritti e libertà ai deboli per garantire ricchezze e potere ai forti. È lo stesso modello di sviluppo occidentale che entra in crisi, cercando disperatamente di salvarsi a spese dei paesi emergenti e nello stesso tempo spingendoli a fare gli stessi errori.

Noi non vogliamo rassegnarci a questa crisi né accettare passivamente quello che le banche centrali, le agenzie di rating, i grandi istituti di credito internazionale vogliono imporre a tutti i cittadini senza alcun controllo

In questa grave crisi il mondo della conoscenza ha il dovere di parlare con la società tutta e di aprire un dibattito collettivo, condividendo gli strumenti per capire cosa sta realmente avvenendo dietro la cortina fumogena dell’informazione pilotata e delle ricette degli economisti ultraliberisti, per fornire una lettura diversa e provare a suggerire soluzioni alternative.

Proponiamo quindi al mondo della conoscenza di andare a parlare della crisi non solo nelle università, ma anche nelle piazze nei giorni dal 10 al 14 Ottobre, precedenti la Manifestazione “United for Global Change” del 15 ottobre a Roma. Crediamo che questo modello di crescita senza limiti sia giunto al capolinea e stia divorando se stesso: è venuto il momento di usare la conoscenza come bene comune volto ad inventare nuovi modelli di vita che utilizzino i saperi e l'intelligenza collettiva per la valorizzazione della persona in tutte le sue forme.

In questa settimana di lezioni in piazza vogliamo non solo parlare della crisi nei suoi vari aspetti, ma anche continuare un processo partecipato di discussione in cui ribadire che la conoscenza è uno scambio che non conosce divisioni categoriali e che non può quindi rimanere confinato entro le mura di un'istituzione, ma deve vivere nella società, nelle strade e nelle piazze.

Ma la crisi economica non è solo questione di numeri. Lo diciamo dal 2008, dall'inizio del palesarsi della crisi: la crisi economica è prima di tutto crisi democratica. In questi anni abbiamo assistito ad una riduzione degli spazi di discussione, di critica, di dissenso. La crisi è stato il pretesto per cancellare la democrazia dai luoghi di lavoro, dalle università, dalle piazze. Dai NO dei lavoratori di Pomigliano e Mirafiori ai referendum per la ripubblicizzazione dell'acqua e contro il nucleare, il tentativo di riprendersi la parola, di riappropriarsi della possibilità di decidere, portato avanti da chi subisce un attacco ai propri diritti, è stato il filo conduttore che ha unito le tante lotte dello scorso anno.

Durante il corso dell'autunno porteremo questo modello di democrazia partecipata dentro gli atenei. Organizzeremo referendum autogestiti, come già è avvenuto a Bologna, Torino, Milano e Perugia per consentire a tutti coloro che vivono nelle università di esprimersi sulle riforme statutarie che negli ultimi mesi stanno coinvolgendo gli atenei italiani. Crediamo che tutti, dal personale di servizio al ricercatore precario, dallo studente al professore abbiano il diritto di esprimere le loro opinioni sugli statuti del Ministro Gelmini, perché la conoscenza non può essere normata dall'alto da un rettore-manager, ma deve darsi un'organizzazione condivisa, secondo modalità che consentano di decidere insieme di quale tipo di università e di conoscenza abbiamo bisogno.

Noi non partiamo da zero. Vogliamo ripartire da un'altra università, quella che ha affermato la propria determinazione etica nelle mobilitazioni dello scorso autunno, trasformando l'intelligenza collettiva in un processo partecipato di creazione sociale e politica da cui parta il mondo che vogliamo. Per questo invitiamo tutte e tutti coloro che in questi mesi hanno lottato per un cambiamento a partecipare a tutte le iniziative che abbiamo intenzione di organizzare perché crediamo che solo ripartendo dal mondo della conoscenza e ripubblicizzando i saperi si possa creare un'alternativa a questo modello di non-sviluppo economico e sociale.

CoNPAss – Coordinamento Nazionale Professori Associati
CPU – Coordinamento Precari Università
LINK – Coordinamento Universitario
Rete 29 Aprile – Ricercatori per un’Università libera, pubblica e aperta

martedì 4 ottobre 2011

Appello studenti Link - Palayana verso il 15 ottobre


Cari docenti, ricercatori e ricercatrici, dottorandi e dottorande,


non vi sfuggirà il fatto che quest’anno cominciamo l’università dentro le macerie di un disastro annunciato. Non vi saranno sfuggite le parole che il rettore dell’Alma Mater ha pronunciato qualche giorno fa al termine di un Senato Accademico, parole drammatiche, che a nostro avviso rischiano di arrivare troppo tardi, quando i giochi sono fatti e nel modo peggiore.

E’ dal 2008 che noi studenti proviamo a mettere in guardia il mondo accademico e l’opinione pubblica di questo paese rispetto al fatto che si sarebbe andati inesorabilmente incontro ad uno smantellamento dell’Università senza precedenti nella storia, ad una significativa e definitiva perdita di significato di quei luoghi del sapere che abitiamo quotidianamente. Le nostre istanze, le nostre rivendicazioni, sono spesso state fraintese, o giudicate allarmiste, o semplicemente trattate con superficialità, e solo raramente comprese nella loro veemenza.

Dal 2008 sono passati tre anni, e il mondo è cambiato. Potremmo dire che forse l’Università è stata tra le prime a provare cosa significasse smantellare il ruolo del pubblico, de-finanziandolo in modo invalidante, prima ancora che inceppandone il funzionamento con una pasticciata contro-riforma strutturale. L’Università prima di ogni altro comparto del sistema pubblico ha subito a proprie spese l’uso strumentale del dispositivo emergenziale della crisi per togliere fondi e ridurre tutto alle macerie che oggi inesorabilmente attraversiamo. Macerie non solo metaforiche, perché hanno immediate ricadute nella quotidianità della gran parte degli studenti e dei docenti che pure accettano di anno in anno, e senza quasi nessun contraddittorio, peggioramenti effettivi della propria esistenza e la chiusura progressiva degli spazi del libero accesso a quel che resta dell’università pubblica.

Non è tutto. Questo è l’anno in cui la crisi economica fa sentire tutta la propria forza devastatrice, l’anno in cui si accorcia definitivamente la distanza tra finanza e vita e in cui un paese come il nostro, già al collasso da tempo, diventa teatro di devastazione sociale drammatica. Dai nostri atenei escono quei numeri che l’Istat riporta di anno in anno, i laureati disoccupati senza futuro e senza reddito, usciti da un’Università carissima, sempre più inerte e che ha rinunciato quasi ovunque a produrre sapere critico dentro l’emergenza viva del nostro presente. Dentro questa miseria, evidentemente non solo materiale, sembra che ovunque in Europa, si cominci a prendere parola dal basso, si comincia a riaprire spazi di democrazia e discussione. Sembra che si cominci a denunciare la dittatura della finanza, e a chiedere nuovo potere della politica, resa afasica dalla tecnocrazia.

In Italia tutto ancora tace, non sappiamo per quanto ancora. Ci chiediamo da tempo: se la crisi ha messo in luce, ad esempio, l’evidente fallimento di un sistema economico e sociale, che non riesce ad uscire in modo convincente dalla proprio collasso, da dove devono uscire proposte reali di alternativa se non proprio dall’università? Dove si sperimentano, saperi in grado di sostenere nuovi modelli di sviluppo e nuovi modi di organizzazione politica e sociale, se non da produttive sinergie tra i movimenti sociali e i luoghi dell’Accademia, mortificata e ridotta a terreno di mera corporazione?

E invece tutto scorre come se questo tempo, come se questa crisi così devastante del comparto formazione, del paese e del mondo tutto, non toccasse neppure marginalmente l’Università, anche se non ci sono più nemmeno i soldi per la carta, anche se le rate di quest’anno sono aumentate vertiginosamente costringendo studenti- e ne conosciamo tanti-a rinunciare all’anno accademico a causa dei costi, anche se non esiste più tutela alcuna del diritto allo studio, anche se i corsi di laurea chiudono e il turn-over è paralizzato.

Nonostante tutto questo, se l’anno scorso iniziò almeno con la dichiarata indisponibilità di tanti ricercatori e ricercatrici -indisponibilità che mise in evidenza la protervia di tanti rettori in cerca di contratti di docenza per coprire i vuoti, innanzitutto politici, che quelle assenze lasciavano - quest’anno l’Università è chiusa in un silenzio omertoso, e noi con queste poche righe non abbiamo alcuna voglia né intenzione di palleggiare le responsabilità o le colpe, ma solo di stimolare un ragionamento.

Da un mese è nato dentro la Federico II un luogo di discussione pubblica, un agorà che ospita soggettività studentesche democratiche e di movimento, come LINK e il laboratorio Palayana (nodo della rete nazionale UNICOMMON) così come singoli, che agiscono e discutono l’urgenza del presente, assumendosi la responsabilità della complessità dello stesso.

Partiamo dall’organizzazione del 15 ottobre, una data inedita per il mondo, una data in cui si manifesterà in ogni piazza delle capitali d’Europa contro l’Austerity, contro il governo delle banche, e per una nuova democrazia dei popoli. Oltre il 15 proverà a lanciare spunti di studio e di ragionamento, per smuovere il calmissimo mare dell’università, a imporre fuor di retorica la drammatica questione della povertà e della disoccupazione, della precarietà e del welfare. Non ci accontenteremo di nessuna semplificazione e proveremo a scrivere un percorso che stia tutto dentro il rapidissimo svolgersi degli eventi. Vorremmo non restare a parlarne solo tra studenti. Per questo vi abbiamo scritto questo breve appello.

Saluti a tutti,

Workshop permanente contro la crisi Federico II

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