mercoledì 17 novembre 2010

17 novembre: uno sciopero per non abbassare la guardia sulla crisi dell’Università Pubblica


Abbiamo sentito dire da media e politici, nelle scorse settimane, che la discussione del DdL Gelmini alla Camera dei Deputati si era fermata per mancanza dei fondi necessari per finanziare pretese “innovazioni” richieste dal DdL, tra cui si citavano gli “avanzamenti di carriera” dei Ricercatori “meritevoli”. Si è poi di nuovo parlato, confusamente, di soldi “trovati” da Tremonti in Finanziaria per l’Università, forse (?) specificamente per le promozioni dei Ricercatori. In realtà sono state dette molte falsità. In particolare:


È falso che la recente promessa del Ministro Tremonti di “concedere” un miliardo di euro al sistema universitario significhi “investire nell’Università” e “finanziare la riforma”: lo stesso governo ha previsto per il 2011 un taglio di 1,3 miliardi di € al sistema universitario e di 200 milioni di € alle borse di studio. E’ chiaro quindi che il sistema universitario viene fortemente definanziato: 1.500 milioni di tagli - 1.000 milioni di tagli condonati = 500 milioni sottratti al sistema universitario in un anno. Sostenere il contrario significa essere corresponsabili della progressiva distruzione delle Università pubbliche.

È falso che la “riforma Gelmini” colpisca le baronie. Invece di indebolire alcuni consolidati assetti di potere, li rafforza: dalla gestione dei concorsi a quella del potere decisionale interno agli Atenei, la riforma dà enormi poteri proprio a chi fino ad ora ha gestito il sistema. L’onnipotenza incontrollata e irresponsabile di un Consiglio di Amministrazione nominato e senza controllo produrrà clientele che trasformeranno l’istituzione universitaria in una nuova incrostazione di poteri con spreco di denaro pubblico, sul modello delle ASL. Sostenere il contrario significa essere corresponsabili della consegna dell’Università pubblica in mano a consorterie di potere (private, pubbliche o confessionali).

È falso che la “riforma Gelmini” avvantaggi i giovani ricercatori e consenta loro di accedere presto ai ruoli universitari. Al contrario, allunga per legge il già lunghissimo precariato: aggiungendo al dottorato (3 anni) e agli assegni di ricerca i nuovi contratti di insegnamento/ricerca a basso costo previsti dal DdL, il periodo tra la laurea e l’accesso al ruolo per un giovane potrà facilmente oscillare tra 11 e 15 anni (peraltro con scarse speranze di successiva entrata in ruolo causa scarsità dei finanziamenti e blocco del turnover). Sostenere il contrario significa condannare all’oblio chi ora, da precario, sostiene il sistema universitario, e costringere ad emigrare la migliore parte delle generazioni future.

È falso che la “riforma Gelmini” agevoli gli studenti meritevoli. Anzi, la legge vorrebbe che lo Stato ritirasse quel poco e insufficiente sostegno che concede oggi, per passare alla logica del credito agevolato. Questo non significa sostenere l’alta formazione, ma piuttosto creare eserciti di giovani già indebitati con lo stato e con le banche prima ancora di aver trovato un lavoro; e ancora, trasformare quel che dovrebbe essere un “ascensore sociale” in un filtro per escludere le categorie svantaggiate.

È falso che la “riforma Gelmini” valorizzi o consideri coloro che hanno competenze certificate (i Ricercatori): circa 27.000 ricercatori universitari, la quasi totalità dei quali in possesso di dottorato di ricerca e con alta qualificazione professionale, vedono il loro ruolo messo ad esaurimento ai fini di un misero risparmio economico. E’ falso che vengano premiati dal fantomatico investimento sulla ricerca: dell’investimento aggiuntivo di 1.700 milioni di € promesso dalla maggioranza appena poche settimane fa per le progressioni di carriera (che nessuno vuole, se avulse da un piano concreto di reclutamento complessivo), resta nel quadro attuale un ipotetico stanziamento di neppure 100 milioni, peraltro sottratti ai 1.000 del “condono” tremontiano. Sostenere il contrario significa “fare finta”: è ancora una volta il gioco delle tre carte, in cui si scommette sulla pelle dei ricercatori di ruolo, ai quali si chiede anche, sfacciatamente, di mantenere in piedi il sistema svolgendo mansioni non dovute.


Se il DdL verrà approvato dalla Camera, in molti casi l’indisponibilità dei ricercatori alla didattica diventerà definitiva, rendendo impossibile la prosecuzione dell’anno accademico nei primi mesi del 2011, dove sono stati spostati, per “fare finta” che tutto vada bene, i corsi tenuti in passato da ricercatori oggi indisponibili. Chi approverà questo disegno di legge avrà quindi anche la responsabilità di un tracollo immediato del sistema universitario pubblico, che sarebbe stato evitabile se solo si fosse dato ascolto alle voci provenienti dall’Università stessa, invece che alle bugie del ministro Gelmini e al controcanto degli “opinionisti interessati”, dei gruppi di potere delle università private e della Confindustria.

Anche se le caotiche vicende del Governo in questi giorni non permettono di prevedere se, quando, ed in che forma il DdL potrebbe arrivare alla Camera, oggi, 17 novembre,

aderiamo allo sciopero, proclamato dalle organizzazioni sindacali,

per riaffermare che
siamo contrari al DdL, e richiediamo a gran voce la sua cancellazione;

chiediamo che
si progettino e discutano riforme condivise
che affrontino i problemi della governance, del reclutamento e del superamento delle baronie, e della valutazione del merito
(vedi p.es. proposte di associazioni di Ricercatori: http://www.rete29aprile.it, http://w3.uniroma1.it/cnru/ e del Coord. Naz. Professori Associati: http://www.professoriassociati.it),

e che
l’Università e la Ricerca Pubbliche siano sostanzialmente rifinanziate

Un gruppo di Ricercatori,
Professori Associati
e Studenti
dell’Università dell’Insubria
(Sede di Busto Arsizio)

Nessun commento:

Posta un commento


Large Visitor Globe