mercoledì 10 novembre 2010

L’università paga per farsi valutare


Le università s’interrogano sul ruolo che possono avere nella sfida competitiva del Paese. E spendono 250 mila euro per comprendere quale fondamentale contributo possono dare. Sicuramente «il contributo» (anche lauto) lo hanno dato allo studio Ambrosetti a cui hanno commissionato la ricerca… Ma i rettori che fanno capo alla Crui non hanno proprio trovato nessuno all’interno dei loro atenei a cui far studiare il loro possibile ruolo nella ripresa economica? Evidentemente no, se si sono affidati a una società esterna in barba alla difficile situazione di bilancio
che ogni anno impatta sempre di più le università italiane. Anche se suona strano che la conferenza che riunisce 77 atenei statali e non, non abbia trovato ricercatori, professori, in generale eccellenze in grado di elaborare un documento ad hoc sul sistema universitario, senza tirar fuori quei soldi che provengono da quelle stesse università dai bilanci traballanti. La Crui, infatti, deve la sua sopravvivenza economica ai contributi obbligatori che, ogni anno, arrivano da quelle università che ne fanno parte. Ma c’è di più. La presentazione dello studio «L’università italiana nella sfida competitiva del paese», realizzato con l’obiettivo dichiarato dalla stessa Crui «di contribuire al dibattito in materia di rinnovamento dell’università facendo luce sul complesso rapporto di interrelazione tra università e paese», è stata affidata direttamente al ministro dell’università, Maria Stella Gelmini, sfruttando un momento di amnesia della stessa. Visto che è di giugno 2010 un documento riservato del Miur che mette in luce come 36 atenei su 66 (quindi più del 50%) sono con i bilanci in rosso. E non proprio nella condizione di regalare 250 mila euro per fare quello che era possibile fare in casa.

Moustique

Da ItaliaOggi del 8 novembre 2010 (link all'articolo)

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